L’ULTIMA NOTTE DI SENNA

INTERVISTA A GIORGIO TERRUZZI
By Gino Consorti
Pubblicato il 2 Giugno 2014

IL NOTO GIORNALISTA E SCRITTORE HA PUBBLICATO UN BELLISSIMO LIBRO, SUITE 200, ATTRAVERSO IL QUALE RIVIVE E IMMAGINA L’ULTIMA NOTTE DI VITA DEL PILOTA DI FORMULA 1 PRIMA DELL’INCIDENTE DI IMOLA. LO FA DORMENDO NELLA STANZA D’ALBERGO CHE SOLITAMENTE OCCUPAVA IL CAMPIONE BRASILIANO Ciascun pilota ha un limite, il mio è un poco sopra quello degli al-tri”. In questa breve ma significativa frase c’è tutto Ayrton Senna, lo straordinario campione brasiliano di Formula 1 scomparso il primo maggio di vent’anni fa in conseguenza del terribile schianto alla curva del Tamburello dell’autodromo di Imola in occasione del gran premio di San Marino. Dopo anni di inchieste, un lungo processo, depistaggi e mezze verità la causa di quell’assurdo incidente è stata legata alla rottura del piantone dello sterzo. Quel giorno la dinamica rimase a tutti incomprensibile: Senna, che viaggiava a 307 chilometri orari, all’ingresso della curva andò dritto schiantandosi contro il muro di cemento a 216 chilometri orari. Nei tredici decimi trascorsi dall’uscita di pista all’impatto, il pilota 34enne nativo di San Paolo provò a far cambiare direzione a quel missile impazzito, ma non ci fu niente da fare: lo sterzo  girava a vuoto. Fece, allora, le uniche cose possibili per ridurre la velocità d’impatto: scalò le marce e spinse a più non posso il pedale del freno. Accompagnando il tutto, probabilmente, con un pensiero a Dio verso il quale nutriva un amore profondo.

Da tanti Ayrton Senna è considerato il pilota di Formula 1 più forte di tutti i tempi. Un professionista come pochi capace di magie sorprendenti, soprattutto sull’asfalto bagnato. Uno che riusciva a “parlare” alle proprie macchine scovando, con un solo giro di pista, anche i difetti più impercettibili. Nello stesso tempo, però, era un campione riservato, lontano dai vezzi e i luccichii di un circo, quello della Formula 1, così distante dal suo vivere quotidiano. Un ragazzo, ancora, dallo sguardo triste e dal cuore generoso, soprattutto per la sua gente verso cui si sentiva perennemente in debito.

Io ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo nel gran premio di Hungaroring, in Ungheria, nel 1991. Alla guida della storica McLaren Mpa/Honda, dopo aver conquistato la pole nelle prove, vinse la gara a mani basse nonostante le insidiose Williams di Mansel e Patrese, un caldo infernale e un circuito dov’è difficile sorpassare. Avendo trovato posto su una collinetta dalla quale scoprivo un rettilineo che terminava con due curve impegnative, ebbi il privilegio di ammirare la sua guida fantastica fatta di traiettorie che, giro dopo giro, si sovrapponevano in maniera millimetrica. Uno spettacolo mai visto, tutti i passaggi sembravano il replay del primo. Che fenomeno. Ayrton è riuscito a entrare come nessuno nel cuore di tanti, compresi i non appassionati di Formula 1. Al rientro in patria dopo l’incidente di Imola, ad accompagnare la bara lungo i 31 chilometri del tragitto dall’aeroporto di San Paolo alla camera ardente, c’era una folla oceanica. Per non parlare degli oltre tre milioni di persone presenti al funerale. Lo scorso 1° maggio, dunque, in occasione del ventennale della sua scomparsa, abbiamo assistito a un susseguirsi di ricordi, testimonianze, immagini, filmati, commemorazioni, cd, pubblicazioni speciali, libri. Tanti si sono detti amici del campione brasiliano e giù pagine e pagine di racconti, frasi, dialoghi, confessioni… Considerata però l’assoluta riservatezza di Ayrton Senna e la sua rigida modalità di selezione di persone a cui aprire il suo cuore, credo che molti abbiano spacciato per amicizia una semplice conoscenza, magari legata a qualche saluto in pista o in conferenza stampa. A questa categoria, però, certamente non appartiene Giorgio Terruzzi, famoso giornalista, dirigente sportivo, sceneggiatore e autore di testi per il teatro e il cinema. Laureato in Lettere e Filosofia, oltre a collaborare ai testi di Claudio Bisio e Diego Abatantuono, è stato vice direttore di Sport Mediaset e responsabile della testata Motori. Insieme a Mino Taveri e Luca Serafini cura oggi la realizzazione di Sport Mediaset XXL. Giorgio, come avrete modo di scoprire nell’intervista, è legato  al campione brasiliano da un’affinità direi esistenziale, oltre che da una conoscenza consolidata fatta anche di confidenze e confessioni. Lui, giustamente, afferma che la parola amicizia implica qualcosa di profondo e coinvolgente e che quindi non può essere spesa con troppa facilità. Anche per quel che riguarda il suo rapporto con Senna. A mio avviso, invece, Giorgio potrebbe tranquillamente occupare un posto privilegiato tra le tante conoscenze del pilota brasiliano. Non a caso, infatti solo una persona con una grande sensibilità, volta alla percezione dell’animo dell’essere umano, poteva mirabilmente raccontare il fuoriclasse e l’uomo Senna. Il tutto senza incappare nella retorica e nei “copia-incolla” tipici delle commemorazioni. Così ha mandato recentemente in libreria un volume fantastico (Suite 200, 66thand2nd – Roma, pp.136, euro…) nato da un’idea altrettanto fantastica. Rivivere e immaginare, nella stessa stanza occupata da Senna, appunto la suite 200 dell’hotel Castello di Castel San Pietro Terme, l’ultima notte di vita del campione brasiliano. Ha così contattato la signora Luca Tosoni, proprietaria dell’hotel riservando la suite 200. Quindi, ha telefonato al proprietario della trattoria Romagnola, Paolo Liverani, prenotando un posto dove Ayrton aveva cenato, come d’abitudine, la sera del 30 aprile 1994. A quel punto ha aperto il suo cuore proponendoci, in modo assolutamente mirabile, un immaginario bilancio intimo di Senna. Un’intera notte tormentata terminata con il dolce canto degli uccellini, gioiosamente zampettanti sui rami che sfioravano la suite 200 e che quella mattina del 1° maggio 1994 diedero l’ultima sveglia al tre volte campione del mondo.

Incontro Giorgio Terruzzi a Roma, nella sede della casa editrice. Il tempo di salutarci ed ecco che Ayrton è già tornato nei nostri pensieri…

Perché Giorgio quando la casa editrice 66thand2nd ti aveva proposto di scrivere su Senna a vent’anni dalla morte la tua prima risposta fu  “no grazie”?

Era una storia dolorosa che avevo già riposto sotto una grossa pietra… Con Senna, infatti, ho avuto un rapporto strano, connesso a delle cose personali. Ero stato a casa sua in Brasile insieme a un caro amico comune, ero a Imola quando è morto… Avevo scelto di non riaprire la porta su una vicenda così straziante.

Cosa ti ha fatto cambiare idea?

Alcuni giorni dopo quel mio “no” ho sognato Senna. Mi aveva accompagnato per le strade di Rio, chiacchierando e scherzando come si fa tra amici. Allora sono andato a rivedere i miei appunti, ho riletto tante cose e mi sono commosso. È stato come riaprire una casa disabitata da tempo dove ritrovi cose e sapori a te molto cari. Dopo aver immagazzinato il tutto ho chiesto al proprietario dell’albergo Castello di Castel San Pietro Terme di poter usufruire per una notte della stanza che era stata di Senna… E ho cenato nella trattoria Romagnola dove lui era stato la sera prima. Tutto questo per poter concentrare in un tempo, quello di una notte, una sorta di bilancio della sua vita.

Prima accennavi a un rapporto particolare con Senna: come vi siete conosciuti?

È stato un caso, io seguivo la Formula 1 già da molti anni. Un giorno, nel 1984, il mio amico più caro, Pigio Pastonesi decise di andare a vivere in Brasile. Lo fece  così, senza soldi e senza un’idea precisa. Allora presi le ferie e andai a trovarlo a Rio de Janeiro. Mentre ero lì lessi su un giornale che Senna era tornato in Brasile per le vacanze di Natale e si trovava nella sua casa a San Paolo. Lo chiamai al telefono e al termine della nostra chiacchierata mi disse di andarlo a trovare. Trascorsi un intero pomeriggio a casa sua parlando di corse, di macchine e del Brasile. Da quel giorno il tutto è cresciuto, anche perché è cresciuto il mio rapporto con il Brasile. Il mio amico, infatti, vive ancora lì, io ho imparato il portoghese e spesso sono tornato a trovarlo. Ho conosciuto tante persone amiche di Senna, tra cui Evandro Teixeira, un grande fotografo che Senna stimava molto. Insieme a Pigio, poi, realizzai una guida del Brasile e chiesi a Senna di scriverci la prefazione. Cosa che fece volentieri e anche in maniera spiritosa. Insomma, oltre a quello professionale tra noi c’era un altro livello.

Dopo la morte del campione brasiliano, come spesso accade quando c’è di mezzo una star, gli amici sono spuntati numerosi come funghi…

Nel mio caso non parlo di amicizia, anche perché è una parola che si riferisce a un qualcosa di profondo. Dico semplicemente che ho avuto la possibilità e la fortuna di avere un piano un po’ più intimo e un po’ più alternativo a quello che comporta normalmente il rapporto tra un pilota e il giornalista che segue le corse.

Cosa ti aveva colpito di lui?

Giornalisticamente parlando ero molto attratto perché era una persona “disturbata”, cioè presa dalla propria ombra, dalla propria sensibilità. A me hanno sempre colpito le persone prima dei campioni, e lui era una persona che lasciava un segno. Nonostante nel suo campo facesse delle cose impensabili e impraticabili per gente come noi, di contro aveva degli atteggiamenti e un modo di fare che assomigliavano ai nostri. Era attraversato da paure, commozioni, preoccupazioni. Lui, poi, aveva questo costante desiderio e nello stesso tempo aspirazione di restituire ciò che aveva ricevuto in termini di talento e di ricchezza in un paese dove la povertà è un’evidenza. Questa cosa in lui era molto forte, Senna era uno che non andava in pista per divertimento o per rimorchiare le ragazze, in testa aveva solo il lavoro in quanto aveva un’aspirazione ben precisa. Di conseguenza metteva un’attenzione maniacale nella sua professione, era una sorta di monaco. Una persona così, allora, non può non toccarti… Anche perché poi in pista faceva cose che ti lasciavano a bocca aperta.

Quindi lo sguardo triste e malinconico che ha sempre accompagnato l’immagine di Senna nasceva unicamente da questa sua preoccupazione?

Credo che la spiegazione più esatta l’abbia data il suo fisioterapista Nuno Cobra: “Questa persona ha bisogno di passare attraverso una sofferenza per arrivare a un godimento”. Se vogliamo questo è un concetto molto spirituale.

Del tipo dai e riceverai…

Esattamente. Ciò ha significato per lui contrapporre continuamente il raggiungimento di risultati importanti a un impegno altrettanto forte altrove in modo da giustificare il tutto. Quindi quello che arrivava dalla sua carriera non era semplicemente una cosa vissuta egoisticamente o egocentricamente, ma era sempre riferito a una sorta di piano più ampio. Cioè: Cosa significa questo per il mio popolo? Che significato voglio dare a questa cosa? Capisci bene, allora, che se uno inizia a farsi questo tipo di domande si aprono spazi importanti di riflessione… Il problema, dunque, non era vincere le corse ma dare un senso al tutto, un significato più ampio al fatto di stare al mondo.

Tra i vari incontri avuti con Senna ce n’è uno abbastanza curioso e mi riferisco a quella volta che ti ritrovasti seduto accanto a lui in un volo San Paolo-Milano…

Direi che quello è stato l’episodio chiave del nostro rapporto. Per un errore della compagnia nella prenotazione mi ritrovai accanto a lui in prima classe. In aereo non dormo mai, ma non è una questione di paura. Mi prende l’emozione, piango guardando la terra dall’alto mentre io mi sento una piccola cosa… In quella occasione gli feci alcune confidenze sul mio stare al mondo, e lui ne fece a me. In pratica gli spiegai che la ragione per la quale ero così interessato al suo modo di fare riguardava qualcosa legata alla mia infanzia.

Cioè?

Anch’io vengo da una famiglia benestante e ho sempre avuto quel problema lì. Mi riferisco al fatto di rendere conto della fortuna che hai restando sempre particolarmente attento all’altro. In pratica questo ha rappresentato una sorta di segreto condiviso…

Quale fu la sua reazione alle tue confidenze?

Temevo di aver esagerato, di essere andato oltre su argomenti così intimi… Invece lui si disse interessato e la conversazione si fece confidenziale e indimenticabile.

Un altro incontro, invece, ebbe come luogo una vigna a Novara, nel 1990, alla vigilia della sua partenza per il Giappone…

Esattamente, e in quell’occasione in pratica mi anticipò l’epilogo di quella gara e del mondiale. Era un’intenzione che aveva già maturato nella testa ma che io, ovviamente, in quel momento non potevo comprenderla. L’ho capita dopo. Lui aveva un rapporto stranissimo con Dio.

Cioè?

Avendo questa continua capacità di esaminare e di giudicare severamente se stesso, nel momento in cui si riferiva a Dio arrivava già tra virgolette purificato. In qualche modo aveva già fatto i conti con la propria coscienza, quindi è come se chiedesse a Dio un’autorizzazione a procedere… Credo che ognuno di noi abbia una personalizzazione del rapporto con la religione e quindi con la fede.  La sua era questa. Faceva i conti con la propria coscienza e poi andava a fare l’esame di maturità con Dio. E se lo superava agiva… In quel caso, in Giappone, credo sia andata proprio così. Io, si sarà domandato Senna, l’anno prima ho subito un’ingiustizia nell’assegnazione del mondiale nella gara in Giappone quando sono stato squalificato? Sì. E ancora: Ho meritato questa ingiustizia? No. In questo momento, quindi, sono nella condizione di comportarmi di conseguenza? Secondo me sì in quanto sarebbe un atto di giustizia. Con questa sorta di colloquio intimo immaginario sto sicuramente banalizzando il tutto, ma in qualche modo ha funzionato così. Ovviamente poi il suo rapporto con Dio era ben altro, molto più profondo.

Negli ultimi tempi, infatti, tra le cose che riempivano la sua ventiquattrore durante i tanti e continui spostamenti nel mondo, la bibbia non mancava mai…

Lui aveva una spiritualità formidabile.

Fu proprio in Giappone, nel 1988, nel giorno della conquista del suo primo mondiale, che dichiarò di aver visto Dio che saliva verso il cielo mentre si trovava sulla linea di partenza…

Affermò di aver visto l’immagine completa che si alzava verso il cielo. Erano cose pericolosissime da dire soprattutto in una conferenza stampa dove c’è il rischio concreto che ti prendano per matto… Invece lui fu assolutamente sereno nel dirlo, sia in conferenza nell’immediato dopogara, sia successivamente in privato. Dietro non si nascondeva alcuna strategia di comunicazione, raccontava solo ciò che i suoi occhi avevano visto. Lui era predisposto a trattare il senso del suo fare in quei termini lì, cioè entro un ambito di spiritualità.

Arriviamo a quel tragico weekend di Imola. Cosa ricordi in modo particolare?

Tutto. Sembrò quasi una distrazione di Dio… Non era successo nulla per 10 anni mentre il venerdì ci fu un incidente gravissimo, la morte di Roland Ratzenberger il sabato e un altro incidente subito dopo la partenza. Poi l’incidente di Senna…

In quei giorni cogliesti qualche segnale inusuale nel comportamento di Senna?

Noi tutti guardiamo e riguardiamo con attenzione tutto ciò che Senna fece in quel weekend. Quella domenica, però, tutti i piloti erano tra virgolette disturbati. Era infatti morto un loro collega. Io, però, sono anche dell’idea che un pilota, quando si trova sulla linea di partenza, pensi esclusivamente a correre. Cioè non è possibile, per questa gente, tenere assieme la percezione del pericolo, di un lutto e il correre. Se fosse così andrebbero immediatamente a casa. Credo quindi che Senna quel giorno pensasse a vincere la corsa. Che poi, come tutti, fosse preoccupato e disturbato da una morte, dalla sicurezza precaria del circuito, è sicuramente fuor di dubbio.

Tu al momento della partenza eri vicino alla sua macchina. Che tipo di sensazione registrasti?

Solitamente non voglio dare troppa importanza alla dietrologia, dico comunque che per tutti in quel momento era una situazione pesante. E poi è difficile distinguere i vari gradi di tensione. Ricordo solo un’aria di grande preoccupazione. Ripeto, la cosa straordinaria però che accade quando c’è un incidente in pista è la velocità con la quale viene accantonato il tutto. Nel momento in cui inizia la gara ogni tipo di scoria viene gettata fuori, altrimenti non ci stai dentro. Quel giorno durante la procedura di partenza l’atmosfera era cupa, ma la corsa avrebbe poi azzerato tutto.

Dopo la morte di Roland Ratzenberger nelle prove del sabato,  Senna tramite il suo patron Frank Williams aveva chiesto alla direzione corsa di annullare la gara….

È vero, ma la cosa fu rapidamente accantonata perché è molto difficile rinviare un gran premio a causa di tante e complesse ragioni.

Anche alla sua compagna Adriane Galisteu, al termine delle qualifiche del sabato, Senna aveva confessato l’intenzione di non correre…

Sì, anche se nella serata, sulla scorta di altre testimonianze, in occasione di vari incontri avuti con Frank Williams e il suo entourage, Senna mostrò di aver in qualche modo metabolizzato l’idea di correre.

A proposito di serata: ci fu un altro episodio che turbò non poco il campione brasiliano. Leonardo, fratello minore di Ayrton, gli fece ascoltare una registrazione telefonica “scottante” tra la compagna Adriane e un suo ex…

Quell’episodio rappresentava il legame che Senna aveva con la sua famiglia, soprattutto con suo padre, una figura patriarcale dai modi e dal pensare antico. Da quello che ho saputo nella registrazione non c’era niente di che ma ciò che colpiva era il gesto. E come dire: guarda Ayrton che noi governiamo anche questo, noi non vogliamo questa tua relazione.

Perché?

Loro hanno sempre visto le donne che si avvicinavano ad Ayrton come delle persone che tentavano di approfittarsi della situazione. Questa ragazzina, dico ragazzina perché era molto giovane, capisco che potesse far pensare a quello ma nello stesso tempo, però, era anche la donna con la quale Senna viveva e con la quale stava bene. Io, infatti, al pari di tanti altri, non avevo mai visto Ayrton sereno come in quel periodo. Era la donna che finalmente portava in pista. A 34 anni può anche essere che abbia valutato l’ipotesi di dare un’importanza diversa a una relazione sentimentale. Era dunque sbalorditivo che la tua famiglia, tuo fratello mandato dalla famiglia, non si fermasse neanche in un giorno così funesto. Ad esempio poteva aspettare la fine della gara… Invece era una missione che andava comunque portata in fondo in quel momento. Questo dà la misura dell’intenzione della sua famiglia.

Suo padre, dopo avergli regalato un kart da bambino, successivamente si mostrò contrario alla scelta di Ayrton di fare il pilota. Tant’è che lo fece tornare dall’Inghilterra in Brasile per metterlo dietro una scrivania nella sua impresa di costruzioni…

Sì, accadde dopo il primo anno di corse in Inghilterra. Suo padre tutto sommato era un po’ bivalente, da una parte era stato lui a regalargli il kart e avviarlo verso questo sport, dall’altra però si era reso conto, tardi, che quel piccolo go-kart aveva liberato una gioia, un talento. Era dunque un po’ pentito perché sapeva i rischi a cui andava incontro e poi probabilmente aveva altri progetti su di lui. Era un uomo abituato a controllare e a gestire tutto e questo ha prodotto una diffidenza nei confronti di chi cercava di entrare in quel rapporto tra padre e figlio, famiglia-campione. Ovviamente per noi dal di fuori è impossibile spiegare completamente le dinamiche di un rapporto familiare.

“Se lo fai, fallo bene”. A tuo avviso quanto ha inciso nell’esistenza di Ayrton questo “credo” che suo padre Milton spesso ripeteva in famiglia…

Sicuramente era la chiave della vita. Senna era uno che non poteva permettersi di fare male niente, neanche bere un caffè… Ma tornando ad Adriane la cosa straordinaria è che ancora oggi questa ragazza viene trattata come una intrusa, una approfittatrice quando invece tutte le persone vicine ad Ayrton erano consapevoli che si trattasse di una storia veramente importante. Forse l’avrebbe sposata, sicuramente era molto importante per lui.

Dopo aver ascoltato quel nastro Senna telefonò ad Adriane, come ha rivelato lei successivamente…

Sì, e aveva organizzato di partire subito dopo la corsa per raggiungerla nella casa che avevano in Portogallo. Un luogo scelto per vivere liberamente il loro rapporto in quanto in Brasile, con il controllo dei genitori, non era possibile.

I toni di quella telefonata come furono?

Direi scherzosi, anche perché lei era una ragazza molto allegra. Vista da Imola la situazione era chiaramente molto pesante, ma lei che stava a migliaia di chilometri di distanza non aveva certo la percezione di tutto quel casino e soprattutto non sapeva che avevano fatto ascoltare quella registrazione ad Ayrton… Quindi il suo tono era quello di una che forse provava a tirarlo un po’ su di morale.

Il matrimonio con Lilian naufragato in poco tempo, Xuxa, Cristine e infine Adriane. Cosa cercava Ayrton dalle donne che, a quanto sembra, non riuscivano a dargli?

Secondo me era lui che non aveva la testa per seguire una relazione. Lui era concentrato sul suo lavoro, su una missione da compiere quindi tutto il resto era in seconda o terza battuta. E la donna con cui vivi ha giustamente delle aspettative diverse, di attenzione, di cura. Ogni donna con lui, credo, incontrava dei problemi proprio perché non era al centro della sua attenzione.

Che grado di resistenza aveva alla pressione?

Quella era la sua vita e non aveva alcun tipo di problema.

Ma fu lo stress a causargli una paralisi facciale periferica…

Lui all’inizio fisicamente era molto debole, forse credo sia stato il primo a sottoporsi a un programma di preparazione fisica molto mirato. Quel problema era appunto solo figlio di un deficit fisico corretto poi con la fortificazione dello spirito e del corpo.

Sicuramente gli procurò molto più dolore il suo connazionale Nelson Piquet che, con l’intento di screditarlo, lo definì omosessuale…

Senna, pur essendo più giovane, a differenza di Piquet aveva conquistato il cuore dei brasiliani. Alla base, dunque, c’era l’invidia. A me Piquet non è mai piaciuto. Mentre lui a ogni gran premio si presentava con uno stuolo di donne, Senna era sempre solo. Al massimo lo seguiva un ragazzo brasiliano a cui suo padre aveva assegnato una sorta di incarico da tutor, proprio perché il figlio conduceva una vita solitaria. Ecco, allora, che a Piquet non gli parve vero mettere in giro un pettegolezzo del genere che si appoggiava sul fatto che Senna non si vedesse in giro con le ragazze… Il tutto, come è immaginabile, ebbe un effetto dirompente, soprattutto considerati i tempi. Parliamo di circa trent’anni fa e di un paese, il Brasile, che di fatto ha una cultura macista.

Al di là dell’invidia, comunque, a scatenare le ire di Piquet fu la dichiarazione di Senna a un giornale brasiliano. Disse che alcuni suoi insuccessi derivavano dal fatto di voler concedere un po’ di visibilità al suo connazionale…

Senna si pentì subito di aver detto quella cosa, purtroppo non fece in tempo a non farla pubblicare. E Piquet la lesse mentre si trovava nell’autodromo brasiliano per i test invernali…

Ma nel mondo delle corse Ayrton aveva più amici o nemici?

Senna non era amatissimo, anche perché metteva becco su tutto; nello stesso tempo, però, era anche una persona che si occupava di chiunque si trovasse in difficoltà. Tieni presente, poi, che era uno che portava via tanto agli altri, nel senso che vinceva spesso ed era sempre al centro dell’attenzione. Era un vero e proprio fenomeno di prestazioni. Era ammirato ma non amatissimo.

L’unico con il quale aveva un feeling particolare era il pilota austriaco Gerard Berger, suo compagno alla McLaren…

Proprio così. Berger veniva anche lui da una famiglia ricca, era ed è una persona intelligente. Non appena entrò nella squadra di Senna capì subito che non avrebbe potuto batterlo ma che invece avrebbe potuto imparare da lui. Quindi trasformò la rivalità in convivenza intelligente, trovò, in pratica, una chiave di relazione che Senna accettò di buon grado e con lui si divertì tantissimo. Berger gli faceva delle cose che nessun altro avrebbe mai potuto permettersi. E Senna glielo concedeva perché aveva capito che lo faceva in maniera disinteressata. Berger gli aveva infatti dato una sorta di patente di capo in pista e quindi non aveva un secondo fine.

Si racconta di scherzi anche pesanti…

Gli faceva di tutto, dalle rane in albergo alla valigetta, con dentro tutti i suoi documenti e le carte di credito, gettata giù da un aereo… Ayrton si divertiva come un matto.

Arriviamo al grande rivale di Senna: come definiresti il suo rapporto con il campione francese Alain Prost?

La sorella di Senna, Viviane, ha detto che secondo lei entrambi, senza l’altro, non sarebbero diventati quelli che sono diventati. Del tipo: “Io ti odio perché mi somigli, ti odio perché mi costringi ad andare verso un limite però ho bisogno di te perché questo limite lo cerco”. Un dualismo tipico che nello sport è sempre stato fonte di grandissima attenzione, entusiasmi, discussioni. Cioè dove due figure diverse, anche fisicamente, si trovano sulla stessa curva, sulla stessa strada. E il fatto che ci sia l’altro determina un’esasperazione della competizione. Era, pertanto, un rapporto molto conflittuale ma nello stesso tempo molto importante.

Guarda caso, il destino ha voluto  che il gran premio del Giappone diventasse il teatro di due finali thriller con Prost e Senna nei panni dei protagonisti…

Nel 1989 Prost è in vantaggio su Senna nella classifica mondiale e in quel gran premio gli sarebbe bastato tenere Senna dietro di lui. Compagni nella McLaren, si toccano in un sorpasso ed entrambi finiscono fuori pista. Senna, a differenza di Prost, con l’aiuto dei commissari rimette in moto la macchina, torna in pista e vince la gara in maniera incredibile. Al termine, però, viene squalificato e così il titolo mondiale viene assegnato al rivale Prost. Quell’episodio fu considerato da Senna sempre come un complotto, anche perché all’epoca il presidente della federazione era Jean Marie Balestre, connazionale di Prost. In realtà credo che negli ultimi tempi, alla fine della sua carriera, anche Senna abbia rivisto il suo giudizio sull’accaduto.

Su che basi?

Senna fu squalificato immediatamente quando tagliò la chicane. Giusta o no la sua interpretazione, visse quella squalifica come un danno voluto e aprì un forte conflitto con la federazione tant’è che il presidente Balestre, pena il ritiro della licenza, pretese e ottenne le scuse pubbliche da parte di Senna.

Un anno dopo, stesso circuito stessi protagonisti. La situazione di classifica, però, si era ribaltata: per aggiudicarsi il mondiale a Senna bastava tenere dietro il suo rivale Prost, quell’anno alla guida della Ferrari…

E ci fu lo stesso epilogo. Entrambi finirono fuori in un sorpasso subito dopo il via della gara. Un incidente ad alta velocità, pericoloso. Quello scenario Senna lo aveva già previsto tanto che nel nostro incontro a Novara, alla vigilia di quel gran premio, mi confessò che aveva ben chiara la sua strategia… Solo successivamente, vedendo l’incidente, capii il significato di quelle parole. Non si percepì immediatamente la volontarietà nell’incidente, subito dopo, però, fu chiaro che Senna aveva in qualche modo pareggiato i conti…

Quando però Prost, a fine 93, si ritirò tra i due scoppiò quasi un’amicizia…

Proprio a Imola, prima della partenza Ayrton salutò Prost che era nelle vesti di commentatore, con un “Ciao Alain, mi manchi”… Una frase che spiazzò un po’ tutti.

La scelta di Senna di lasciare la McLaren per la Williams non si rivelò una mossa azzeccata…

Diciamo pure che cambiarono i regolamenti e comunque quell’anno Damon Hill, compagno di Senna, perse il titolo mondiale per un solo punto…

Torniamo all’incidente di Senna. Cosa ricordi in particolare dello schianto alla curva del Tamburello?

Il movimento della testa di Senna, immobile nell’abitacolo, che scatenò un immotivato ottimismo in tutti noi. Fino alla fine coltivavo una speranza contro ogni evidenza… In realtà le immagini davano la dimensione della tragedia, pur non sapendo della sospensione che gli si era conficcata nella testa… C’era quella enorme macchia di sangue lasciata sul posto…

A distanza di anni che idea ti sei fatto delle indagini e del processo sull’incidente?

A mio avviso non ha senso fare un processo.

Perché?

Le corse sono piene di morti e non c’è mai un’incuria o una leggerezza che non considera la vita del pilota. La verità è che sei in una dimensione così tecnicamente estrema dove in qualche modo può succedere una cosa del genere.

Ma la modifica al piantone dello sterzo l’aveva chiesta Senna?

Sì. Rispetto alla McLaren Ayrton ave-va un problema di guida. Mentre la McLaren all’altezza dello sterzo era completamente aperta, la Williams aveva invece una sorta di carenatura più avvolgente e siccome lui guidava solitamente con la mano che usciva dalla carrozzeria in quel caso non si trovava. È probabile, allora, che abbiano fatto delle modifiche anche per migliorare il comfort.

A tuo avviso Ayrton Senna può essere definito il più grande pilota di Formula 1?

Per me lo è, il che però vale niente… Credo infatti sia sempre difficile paragonare i campioni di un tempo con quelli di oggi, soprattutto in uno sport dove la prestazione è mascherata.

Cioè?

Magari, ad esempio, un pilota per arrivare sesto fa una prestazione di guida superiore a quella di chi arriva secondo… Voglio dire che è difficile trovare il migliore. Ognuno può sostenere una classifica, una comparazione, una teoria. Sono cose personali.

Quale era il suo marchio di fabbrica in pista?

Assolutamente la guida sul bagnato. Lui ha vinto il suo primo gran premio, in Portogallo, con la pista bagnata, per non parlare della straordinaria prestazione con la Toleman-Hart nel gran premio di Montecarlo. Arrivò secondo e la gara fu interrotta per pioggia. Ayrton stava recuperando oltre sei secondi a giro su Alain Prost, di fatto gli fu negata una vittoria che ormai sembrava sicura. Il bagnato, si sa, incrementa la difficoltà quindi esalta la maggiore sensibilità e lui ne aveva da vendere… Era un fenomeno, sull’acqua gli ho visto fare delle cose incredibili, era uno spettacolo.

Cosa rappresenta e cosa ha rappresentato Senna per il Brasile?

Un figlio che nel mondo si è comportato da grande persona, che rende orgoglioso chiunque. Un campione che aveva la percezione della realtà del paese, cioè che volgeva lo sguardo a chi non aveva un’opportunità. Tanto orgoglio, quindi, ma anche un affetto smisurato per una persona che ha rappresentato un straordinario momento felice e struggente in un popolo che ha un culto della nostalgia, della memoria.

Il suo pensiero fisso era sempre per i meno fortunati…

Sì, gli ultimi avevano un posto privilegiato nel suo cuore. E dopo l’incidente la sorella è riuscita a concretizzare l’idea di Ayrton mettendo in piedi una fondazione.

Ogni anno ti rechi al cimitero di Morumbi, a San Paolo, a chiacchierare con Ayrton. Quest’anno gli racconterai del libro che sta raccogliendo un grande successo?

L’ho già fatto, ringraziandolo. Credo infatti che il merito sia suo. E lo dico senza falsa modestia. La cosa straordinaria, infatti, è che a distanza di 20 anni lui sia ancora in viaggio… Capisco la mia generazione che ha avuto la possibilità di vederlo e apprezzarlo in pista, ciò che sorprende, invece, è la breccia che ha aperto nei giovani e nei giovanissimi. Ad esempio sono stato in una scuola, dove i ragazzi sono nati tutti dopo Ayrton, a parlare di tre personaggi: Senna, Schumacher e Rossi. Bene, l’80 per cento delle domande ricevute riguardava Senna…

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