L’ORO LIQUIDO

Un alimento prezioso
By claudio di battista
Pubblicato il 1 Febbraio 2022

L’olio d’oliva è stato sempre circondato da un’aura di nobiltà e sacralità per il largo uso che ne veniva fatto in campo medico, alimentare e religioso come unguento rituale. La coltivazione dell’olio e l’estrazione dell’olio hanno origini antichissime e risalgono a circa 7 mila anni fa, durante l’era della Rame: hanno caratterizzato le coltivazioni e i paesaggi dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Omero definiva l’olio contenuto nelle anfore Panatenee “oro liquido”. Nel 600 d.C. Columella, agronomo dell’antica Roma, scriveva: Olea prima omnium arborum est (l’ulivo è la più importante fra tutte le piante). Nel museo di Haifa si conservano piccoli mortai e presse, a Creta vi sono anfore per la conservazione dell’olio. Più tardi Gabriele d’Annunzio, ne La Figlia di Iorio, cantava la grandezza di colui che versa nel vaso l’olio di oliva.

I romani per primi dettero grande impulso alla produzione e al commercio di olio che usavano nella vita quotidiana in grandi quantità; già allora avevano classificato l’olio in cinque varietà, a seconda della qualità e del grado di maturazione:

Oleum acervum (olio pregiato, amaro e piccante, raccolta a manodi olive ancora verdi).

Oleum viride (pregiato, ottenuto da olive invaiate).

Oleum maturum (ottenuto da olive nere e già mature, di qualitàconsiderevolmente inferiore, poco amaro e piccante).

Oleum caducum (di qualità mediocre, estratto da olive raccolteda terra).

Oleum cibarium (olio di pessima qualità ottenuto da olive aggrediteda parassiti e destinato in parte all’alimentazione degli schiavi e inparte ad altri impieghi non alimentari).

Alla caduta dell’Impero romano, i barbari devastarono le coltivazioni dell’olivo che tornarono a essere rigogliose grazie ad alcuni ordini monastici. Dal X al XV secolo, infatti, benedettini e cistercensi abbellirono le loro abbazie con piantagioni di olivo e diffusero l’uso dell’olio alimentare tra le popolazioni povere e malnutrite.

L’olio extravergine d’oliva è da sempre soggetto a frodi e sofisticazioni, ma i consumatori sono diventati molto più attenti e chiedono la tracciabilità del prodotto preferendo oli di nicchia. Diffidate da prodotti venduti a basso costo: concimazione, potatura, lavorazione del terreno, raccolta, molitura, imbottigliamento e conservazione hanno costi importanti. L’olio extravergine d’oliva non ha bisogno di manipolazione, è privo di additivi, conservanti, ormoni, pesticidi e se biologico viene controllato da organismi autorizzati (6 i principali in Italia). Alla luce di tutti i nuovi accorgimenti per ottenere un olio di qualità (raccolta in cassette bucate per arieggiare invio al frantoio entro 12/24 ore) viene spontaneo domandarsi quale potesse essere la qualità dell’olio qualche decennio fa… Sicuramente buono per la fame e le necessità di allora!

Attualmente vi sono nel bacino del Mediterraneo moltissime varietà di olivo: ognuna ha delle caratteristiche che vanno attentamente valutate al momento dell’impianto. Resistenza al freddo, malattie virali e batteriche, compatibilità con il terreno, necessità d’irrigazione estiva di supporto, tempi di maturazione, resa. Anche i sesti di impianto (distanza tra le piante) vanno valutati: si va dai 16 metri degli impianti secolari pugliesi ai 6/7 metri, e anche meno, di altre zone. Un antico detto ricorda che in primavera gli uccelli devono passare tra i rami degli ulivi e sicuramente gli stessi hanno necessità di respirare e trarre nutrimento dal terreno di loro pertinenza.

Esistono, poi, colture intensive, redditizie, facili per la raccolta meccanica ma contrarie al sentito dei più: “l’olivo è per sempre”. Parole tecniche, ben note agli addetti, quali acidità, perossidi, polifenoli, genetica, analisi spettrofotometriche, erano ignote ai nostri antenati, che tuttavia sapevano riconoscere l’olio buono.

Vi sono molteplici motivi per consumare l’olio extravergine d’oliva al posto di burro, margarina, olio di semi: favorisce la digestione, riduce il colesterolo cattivo e aumenta quello buono, previene la stipsi, ha un alto contenuto di polifenoli, ha una composizione di grassi simile a quella del latte materno, contiene numerose sostanze antiossidanti (luteina, squalene, oleocantale, oleoropeina, vitamina E, carotenoidi). Per tutti questi motivi, dunque, può essere definito un alimento nutraceutico.

L’Agenzia americana per la salute raccomanda l’assunzione di un cucchiaio di olio extravergine di oliva per prevenire l’infarto e le malattie cardiovascolari; il consumo d’olio d’oliva negli Stati Uniti è triplicato negli ultimi vent’anni, nel Giappone è aumentato di otto volte. Adesso aspettiamo la Cina…

Tutti gli oli sviluppano 9 calorie per ml, mentre si differenziano profondamente per le loro caratteristiche organolettiche. Tutti i tipi di olio d’oliva, come sono classificati dalla legge, hanno analoghe proprietà bio nutrizionali. Proteggono la nostra salute perché riducono l’acidità gastrica (favoriscono la funzionalità delle vie biliari e regolano il transito intestinale), non aumentano il tasso di colesterolo nel sangue mentre accrescono quello delle lipoproteine di tipo Hdl che diminuiscono il rischio di infarto (combattendo gli effetti nocivi dell’età sulle funzioni del cervello e sull’invecchiamento dei tessuti). Ostacolano, inoltre, l’aggregazione delle piastrine nel sangue riducendo i rischi di trombosi delle arterie; favoriscono l’accrescimento della mineralizzazione delle ossa, sono utili alle future madri, quelle che allattano e ai bambini, favorendo lo sviluppo del sistema nervoso e del cervello, prima e dopo la nascita.

L’olivicoltura, per la gran parte delle masserie abruzzesi, era una coltura marginale: ai bordi dei campi di grano, delle vigne, degli orti e serviva per uso domestico. Molto spesso, dopo la raccolta che avveniva tra fine ottobre e novembre, le olive venivano poste al caldo, talora in un angolo della stalla sopra una “zeleca” (un termine di derivazione spagnola che indica una stuoia di cannucciato) con l’unico scopo di farle seccare per pagare meno la molitura. Raccolte successivamente con la pala, venivano poste in sacchi di juta e portati al frantoio dei contadini. Qui, si rimaneva ad assistere alla molitura con il metodo tradizionale (pressa e fruiscoli) per molte ore, scambiando chiacchiere con gli amici e bevendo qualche bicchiere di vino. Avevano paura che una parte del prezioso prodotto andasse a finire nel pozzo di raccolta dell’acqua, ma anche che un po’ d’olio, alla sera, venisse decantato da parte di frantoiani più o meno onesti…

Attualmente il metodo cosiddetto continuo con frantoi moderni sta nettamente prevalendo sul metodo tradizionale, con un prodotto finale ottimo (me-no posa e necessità di travasi). L’olio di oliva posto in cantina durante l’inverno, ghiaccia. Non accade, invece, se viene miscelato con olio di semi.

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