Siamo stati bravi, ma ora inizia la fase più difficile, quella della ripartenza. C’è in tutti l’aspettativa che qualcosa di nuovo e bello possa nascere. Nulla sarà automatico e indolore. Adesso dobbiamo impegnarci per fare diventare realtà l’augurio “Andrà tutto bene” che ci siamo scambiato dai balconi all’inizio della crisi Non era mai successo nella storia dell’umanità che (quasi) tutta la popolazione mondiale dovesse rinchiudersi nelle proprie case per sfuggire a un virus invisibile ma letale. E non per un giorno o una settimana! I nostri pronipoti leggeranno questo evento sui libri di storia, e, mi auguro, con una nota di lode per gli italiani diventati inaspettatamente disciplinati. Sì, siamo stati bravi, ma questo non ci fa dimenticare il prezzo che abbiamo pagato: le decine di migliaia di cari che ci hanno lasciato (oltre 30 mila solo in Italia) senza poterli accompagnare in questo ultimo passo. Né possiamo dimenticare le sofferenze dei malati, il sacrificio dell’autoreclusione soprattutto per i bambini. Il Covid -19 ha messo in luce tutte le debolezze, fragilità, diseguaglianze della nostra società. Tre mesi, circa, di chiusura di industrie, negozi, imprese piccole e grandi hanno lasciato sul campo disoccupati, famiglie ridotte alla povertà, bisognose di sussidi per i beni essenziali oltre che per provare a ripartire. Lo stato arranca faticosamente ma c’è, per fortuna. Ne ha pagato il conto anche il culto cristiano, spogliato delle sue manifestazioni comunitarie: un grande sacrificio per una religione corale come quella cristiana che nell’incontro comunitario ha il suo distintivo. Tuttavia questa privazione si è trasformata in una opportunità. Ha stimolato la creatività pastorale, il vangelo si è avventurato sui Social, lo streaming ha moltiplicato le possibilità di presenza della Chiesa nelle famiglie. La modalità comunitaria è fondamentale e irrinunciabile ma ha trovato un buon alleato nella parrocchia virtuale, grazie alla tecnologia digitale, che ha mostrato il suo lato più bello ed utile, perché ci ha permesso di vivere “lontani ma connessi” con le istituzioni, i familiari, i parenti, gli amici e il lavoro.È iniziata la Fase 2, la morsa si sta allentando, ma non è finita. Ci saranno ancora restrizioni e precauzioni da rispettare e sarebbe da stupidi prenderle alla leggera e annullare così tutti benefici che, a costo di tanti sacrifici, abbiamo conseguito. Voglia Dio che quanto prima si trovi un vaccino e si scongiuri una seconda ondata del virus e soprattutto si eviti, come sottolinea il Papa, che alla pandemia virale segua una “pandemia sociale”, che cioè siano l’egoismo e il disinteresse per l’altro a farla da padrone, generando nuovi poveri e nuovi squilibri. Certo, c’è anche molta preoccupazione e anche angoscia verso il futuro, ma pochi rimpiangono il passato. C’è una grande voglia di cambiamento, un’ostinata aspirazione collettiva che non nasconde i problemi cui si andrà incontro, ma spera, auspica che alla fine possa nascere qualcosa di nuovo e di bello. E il nuovo e il bello viene riassunto in due parole: solidarietà e giustizia. Sappiamo quanto la solidarietà sia difficile, e nello stesso tempo irrinunciabile, se si vuole veramente migliorare la società. Se il cambiamento andrà in questa direzione, il Covid -19, nonostante tutta la sua devastazione, non è passato invano.All’inizio della crisi ci siamo incoraggiati dicendoci “Andrà tutto bene”, “Nulla sarà come prima”, illudendoci forse che il cambiamento, ovviamente in meglio, fosse quasi automatico. Già molte cose sono cambiate e per sempre. Ma il vero cambiamento non può essere lasciato solo alla spinta delle cose o agli automatismi degli eventi. E allora rimbocchiamoci le mani! Possiamo contare sull’aiuto dal cielo dei nostri santi protettori, a cominciare da san Gabriele. Che sia la volta buona che gli italiani si scrollino di dosso la loro rassegnazione e pigrizia intellettuale e avviino una grande ripartenza?
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