La longevità è abruzzese. È la terra di centenari, secondo l’Istat: 595 persone hanno più di 100 anni, 114 uomini e 479 donne. Quindi l’Abruzzo è tra le prime 5 regioni con la più alta percentuale di ultracentenari rispetto alla popolazione. Le altre regioni sono il Molise, la Valle d’Aosta, il Friuli Venezia-Giulia e la Liguria. La persona più anziana è la maestra Giuseppina Patriarca, nata a Montorio al Vomano, per molti anni insegnante a L’Aquila, e residente a Sulmona. Verso la fine dello scorso anno ha festeggiato 108 anni. Complimenti. Nonostante l’Abruzzo – sempre secondo i dati Istat relativi all’analisi 2022 Popolazione residente e dinamica demografica – si presenti come la regione dove mediamente si vive più a lungo, si registra, tuttavia, una flessione dei residenti di circa 3323 unità (i residenti sono 1.272.627).
Rispetto al fenomeno dei centenari un dato risalta con maggiore evidenza: le donne sono di gran lunga la maggioranza. L’Istat non ci dice le ragioni di questa sproporzione, ma è normale: le spiegazioni, semmai, ce le devono fornire gli scienziati. Ma per limitarsi, come dire, a valutazioni a spanne e di carattere più generale, si può senz’altro affermate che evidentemente, anche al di là delle possibili variabili legate alla biologia dell’invecchiamento, in Abruzzo la qualità dell’esistenza è legata a uno stile di vita che contempla, per esempio, abitudini alimentari semplici e tradizionali. E poi, c’è da mettere in conto che la maggioranza dei longevi abruzzesi vive nelle zone interne. Lì dove la vita scorre con ritmi meno frenetici, l’ambiente è più salubre, l’aria respirabile. Tutti in montagna e in collina, per vivere più a lungo, allora. Tutti a comprare casa nei paesi e nei borghi dell’Appennino abruzzese o nelle zone protette dei tre parchi nazionali. Insomma, dovrebbe scatenarsi la corsa a chi arriva prima ai sette-ottocento metri di altitudine.
Da ragazzi abbiamo tutti amato le storie della corsa all’oro lungo le praterie americane e i monti che ospitavano i nativi americani che il cinema definiva “pellerossa”. Salvo poi scoprire, in età più matura, che quei nativi avevano tutte le ragioni per opporsi alle crudeltà del settimo cavalleggeri. Ma questo è solo incidentale. Oggi, invece, alla luce dei dati dell’Istat dovremmo assistere alla corsa alla longevità. Un ritorno al passato, quando le zone interne e di montagna erano più popolate di quelle strette pianure lungo il mare. Ma anche no, per dirla alla moderna. In barba al fatto che nelle zone interne si vive più a lungo, lo spopolamento è inarrestabile. Le ragioni le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni della nostra vita. La sanità è più efficiente nelle zone più popolate; in quelle dello spopolamento si tende a chiudere o ridimensionare ospedali e pronto soccorso. L’offerta formativa nelle zone a più alta densità demografica è un ventaglio larghissimo; nelle zone di montagna si chiudono plessi scolastici e si formano pluriclasse. Lungo le coste non c’è bisogno di accendere il riscaldamento a ottobre e spegnerlo a maggio; in montagna, se non c’è un minimo apporto dal riscaldamento climatico, le bollette del gas sono come mazzate a effetto stordimento letargico. Per non parlare dei posti di lavoro. Salvo qualche impiego nella Pubblica amministrazione nelle zone di montagna sopravvive solo qualche industria più o meno, più meno che più, legata alle risorse del territorio. Lungo le arterie che scendono dai monti lungo la costa si addensano, invece, le maggiori industrie della regione. E allora, quando potrà durare ancora il primato abruzzese sulla longevità?