LO CHEF DEI POVERI

Dino Impagliazzo nominato Commendatore
By Lorenzo Mazzoccante
Pubblicato il 17 Marzo 2020

Questa la motivazione del presidente della Repubblica Mattarella: “Per la sua preziosa opera di distribuzione di pasti caldi e beni di prima necessità ai senzatetto presenti in alcune stazioni

ferroviarie romane”

Ha quasi 90 anni, da quasi vent’anni è lo chef dei poveri di Roma, una vita spesa a favore degli ultimi che ha costituito un esempio contagioso per i suoi quattro figli, tutti impegnati a favore degli ultimi della società. Dino Impagliazzo è stato insignito da Sergio Mattarella del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica “Per la sua preziosa opera di distribuzione di pasti caldi e beni di prima necessità ai senzatetto presenti in alcune stazioni ferroviarie romane”.

L’ho incontrato a Roma, nella cucina di via Tuscolana dove, con alcuni volontari, prepara i pasti destinati ai senzatetto.

Chi era Dino Impagliazzo prima di diventare lo chef dei poveri?

Ho sempre avuto un pensiero particolare per le persone in difficoltà. Le prime esperienze di volontariato risalgono agli anni 60 quando ho lavorato per la riabilitazione dei detenuti a Rebibbia. Ho poi collaborato al coordinamento dei volontari durante il terremoto dell’Irpinia (1980, ndr). Insieme a monsignor Luigi Di Liegro, storico fondatore della Caritas romana, aprimmo una prima casa di ricovero per immigrati. Grazie alla sua intercessione ho dato vita a un centro ricreativo per anziani. A quel tempo era una vera novità. Successivamente ho organizzato alcuni viaggi per portare alimenti alle suore di madre Teresa di Calcutta in Romania. Arrivando, poi, fino a Kiev (Ukraina). Quando mia figlia è andata in Siria, sono stato ad Aleppo dove un sacerdote salesiano mi ha chiesto aiuto per creare lavoro per i giovani cristiani. Fallito il tentativo di impiantare una fabbrica di biciclette, abbiamo pensato di donare una mucca per famiglia e creare un caseificio. Quando sono andato in pensione non mi vedevo proprio con le mani in mano…

Abbiamo ripercorso un bel pezzo di storia. Ecco perché i suoi figli sono così fortemente impegnati nel sociale…

La mia vita è stata molto impegnata per il sociale. Ho lavorato per mantenere la mia famiglia (era dipendente dell’Inps, ndr) e, quando non ero al lavoro mi dedicavo al volontariato. È in questo clima che sono nati i miei figli. Quello che hanno fatto è dipeso quindi anche dall’impegno mio e di mia moglie. Il povero è sempre stato al centro della nostra vita. Oggi Marco è presidente della Comunità di Sant’Egidio, Giovanni lavora per la stessa comunità in Africa e Paolo in centro America. Chiara invece lavora per il ministero degli Interni e si occupa di solidarietà a livello internazionale. Tutti lavorano per mantenersi e al lavoro affiancano l’impegno a favore dei meno fortunati.

Come è nata RomAmor?

Un giorno, passando vicino la stazione tuscolana un povero mi chiese un panino. Parlando con lui capii che c’erano altri che vivevano per strada. La sera ho detto a mia moglie Fernanda: “Facciamo 10 panini, così li porto laggiù, magari ha degli amici”. Quando sono arrivato ho visto che non erano 10 ma forse 50. Abbiamo quindi deciso di coinvolgere i condomini e abbiamo cominciato a preparare una cinquantina di panini. La nostra attività era concentrata sulla stazione Tuscolana, che è nel quartiere, e quindi abbiamo deciso di fondare una associazione che fosse il più possibile anonima. Ci chiamammo semplicemente “Quelli del quartiere”. Con l’arrivo dei primi freddi, qualcuno ci chiese la possibilità di avere un pasto caldo. Iniziammo a cucinare, prima in casa mia e successivamente in locali messi a disposizione degli istituti religiosi della zona (oggi la cucina è nei locali del vecchio seminario dei padri rogazionisti, ndr). Successivamente abbiamo ampliato l’area fino alla stazione di Ostiense e quindi siamo diventati Associazione di Solidarietà Appio Latino-Tuscolano. Oggi l’associazione conta circa 300 volontari e si chiama RomAmor. Il nome dell’associazione vuole esprimere quella che secondo me è la vocazione di questa città: una città che non ha fabbriche ma alberghi è una città votata all’accoglienza. E poiché a Roma hanno sede il papa e la Chiesa ha una speciale vocazione all’amore.

Come è cambiata la situazione dei senza tetto e dell’associazionismo?

Negli anni abbiamo assistito ad un cambiamento anzitutto delle persone che incontriamo. Prima erano per lo più afgani, poi magrebini. Ora la maggior parte dei senza fissa dimora che incontriamo sono italiani (magari ridotti in povertà a seguito di un divorzio) e cittadini europei delle regioni più ad est. Di solito non ci sono rom (che preferiscono stare nei loro campi). Le donne sono nell’ordine di un 7 o 8 ogni cento, anche loro generalmente dell’Est Europa. Solita-mente, quando portiamo i pasti, qualcuno dei nostri si mette a mangiare con loro. In questo modo è più facile che si aprano e che manifestino le loro esigenze. Se qualcuno ci dice di aver bisogno di un cappotto ci segniamo nome e taglia e la volta successiva glie lo portiamo. Allo stesso tempo mostriamo ai passanti di trattare come fratelli quelle persone che spesso vengono ignorate. Gesù ha detto: “Qualsiasi cosa avete fatto a questi poveri l’avete fatta a me”. e ancora: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (cf. Mt 25,31-46, ndr). Noi facciamo proprio così.

Un chiaro riferimento evangelico…

Oggi tra i nostri volontari ci sono anche atei e mussulmani. Quello che ci accomuna è il desiderio di essere utili a chi è in difficoltà. Questa “regola d’oro” è presente un po’ in tutte le religioni e fa sì che quest’opera diventi un po’ una scuola.

Cosa si prova ad essere chiamati dalla presidenza della Repubblica?

Inizialmente credevo fosse lo scherzo di qualche burlone, così ho riagganciato. Quando mi hanno chiamato la seconda volta, però, mi hanno dato un numero invitandomi a richiamare per sincerarmi che fosse vero. Era vero… È una grande gioia che condivido con tutti i volontari. Inoltre è un modo per far sapere che ci sono persone che si prendono cura del prossimo.

Cosa pensa dei giovani di oggi e del loro rapporto col volontariato?

La verità è che nei trecento volontari di RomAmor ci sono molti giovani. I pensionati sono una minoranza. Insomma, lì l’anziano sono io. Chi viene entra e si sente tra persone che si vogliono bene e quindi torna volentieri. Questo è il clima che si è instaurato, ma si è instaurato perché lo abbiamo anche voluto. Noi abbiamo creato una proposta perché i giovani possano occupare il tempo libero in maniera costruttiva.

Come vede il futuro di RomAmor?

RomAmor è attiva da ormai 13 anni, ha fatto tanto ed è ormai conosciuta a Roma come una bella realtà. Mi piacerebbe che continuasse fedele al suo spirito. Sempre impegnata nell’aiuto al prossimo. Per fare questo però non basta essere buoni: occorre essere ispirati dal vangelo.

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