L’ITALIA NON UTILIZZA I MILIARDI DEI FONDI UE

SOLDI CHE SE NON SARANNO IMPEGNATI ENTRO I DUE ANNI SUCCESSIVI DALLA FINE DEL CICLO DI PROGRAMMAZIONE (QUINDI FINO A DICEMBRE 2015, OLTRE UN MILIARDO AL MESE) SARANNO TOLTI DAL PIATTO, E CHI S’È VISTO S’È VISTO

Miliardi veri, pronti sul piatto, da spendere in un momento di crisi dura e per realizzare nuove strutture, servizi e occupazione. Eppure restano lì, fermi, o in gran parte vengono lasciati sul quel piatto dell’Unione Europea. L’Italia “si distingue per la sua incapacità nello spendere i fondi comunitari”, con “un ritardo cronico nei confronti degli altri paesi membri dell’Ue”: a sostenerlo, nero su bianco, è l’Istituto di studi politici, economici e sociali (Eurispes) che ha esaminato il programma di spesa dei fondi strutturali 2007-2013. Dei 27,92 miliardi stanziati per quel periodo, la spesa certificata operata dall’Italia e dai suoi enti locali (tramite i Pon e i Por, rispettivamente) ammonta a 13,53 miliardi di euro, cioè ben 14,39 miliardi in meno. Soldi che se non saranno impegnati entro i due anni successivi dalla fine del ciclo di programmazione (quindi fino a dicembre 2015, oltre un miliardo al mese) saranno tolti dal piatto, e chi s’è visto s’è visto.

I dati aggiornati a poco tempo fa indicano che l’Italia ha utilizzato poco più del 45% dei fondi a sua disposizione, una percentuale al di sotto della media Ue (60,81%), lontanissima dalla quella della Lituania, il paese che è stato capace della performance più lusinghiera (80,1%). Solo due paesi sono riusciti a fare peggio di noi: sono la Croazia (22%) – che, però, non ha avuto il tempo materiale di impegnarli, essendo entrata a far parte dell’Unione Europea solo nel 2013 – e la Romania, fanalino di coda con il 37%. Sul fronte delle regioni, il tasso di attuazione medio dei programmi operativi regionali (Por) relativi all’obiettivo “convergenza” vede “due velocità”: i virtuosi, come la Basilicata (e in minor misura la Puglia), con valori chiaramente superiori alla media del sud Italia; i ritardatari, che esibiscono livelli di attuazione dei programmi operativi particolarmente modesti, soprattutto in relazione alla spesa dei fondi Fesr; in questo campo spicca la Campania (33,3%, addirittura al di sotto dei deludenti rumeni).

In termini relativi, emerge chiaramente il robusto finanziamento a favore dei paesi dell’est, gli ultimi entrati nell’Ue. In molti di questi paesi – sostiene l’Eurispes – l’entità delle risorse allocate durante il settennato 2007-2013 è prossima, e spesso superiore (è il caso di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Paesi baltici) al 10% del Pil nell’anno di riferimento 2007, mentre tra i paesi dell’Ue a 15, tale percentuale, escludendo Grecia e Portogallo, varia tra lo 0,13% per il Lussemburgo e il 2,55% per la Spagna.

Il bilancio preventivo del periodo 2014-2020 si muove sulla falsariga del settennato precedente, anche se l’entità dei finanziamenti erogati in direzione di Varsavia è aumentata sia in termini assoluti (oltre 77 miliardi) che relativi (oltre il 22%). L’Italia, probabilmente a causa delle notevoli difficoltà nell’assorbire i contraccolpi della crisi, ha sopravanzato la Spagna come secondo beneficiario della politica di coesione, seppur ricevendo un ammontare di risorse (32,823 miliardi) nettamente inferiore alla metà degli stanziamenti a favore della Polonia (77,567). La Romania, un paese che, come la Polonia, è al contempo popoloso ed economicamente sviluppato, balza al quarto posto della graduatoria dei beneficiari, mentre i piccoli e facoltosi stati nord-occidentali (Danimarca, Svezia, Austria, Finlandia, Paesi Bassi), prevedibilmente, languono in fondo alla classifica in entrambi i periodi presi in considerazione.

Complessivamente, la grande torta dei fondi strutturali dell’Unione Europea in gioco è di 61 miliardi, euro più euro meno. Visti i precedenti, rischiamo di prenderne meno della metà. Stavolta, però, è lecito sperare in un cambiamento di rotta perché il governo intende sostituirsi alle regioni che non si danno una mossa. Il decreto Sblocca Italia approvato nelle settimane scorse prevede, all’articolo 11 (“Potere sostitutivo del governo in materia di fondi europei”) che il capo dell’esecutivo può intervenire in caso di inadempienze da parte delle regioni nei casi previsti dall’articolo 120 della Costituzione. Grazie a questa norma il premier potrà esercitare – stabilisce il decreto – “il potere sostitutivo nei confronti delle regioni, al fine di assicurare adempimenti amministrativi preliminari all’esecuzione dell’opera ed ultimare, entro il termine previsto dagli atti di pianificazione, la fase di approvazione delle opere finanziate, anche in parte, con fondi europei di competenza regionale”. Non solo, il presidente del Consiglio potrà anche esercitare “tutti i poteri ispettivi e di monitoraggio necessari” per prevenire “eventuali inadempimenti delle regioni sul tempestivo utilizzo dei fondi europei loro assegnati”.

Sembra una svolta, e speriamo che lo sia davvero: troppe volte abbiamo ascoltato proclami e sentito meraviglie di leggi e decreti poi ammuffiti nei cassetti. Quei miliardi occorrono davvero e non è possibile continuare a lasciarli a Bruxelles.