l’Italia cresce solo grazie agli immigrati

In compenso, però, stiamo riscoprendo la provincia, abbandonata con troppa fretta e molta speranza nei decenni passati. La popolazione, infatti, si è spostata soprattutto nei comuni di media dimensione, dove si è registrato un aumento del 60,1%

Avanti piano. L’Italia conferma una lentissima crescita demografica, dovuta solo al maggior numero di stranieri. Senza di loro la nostra popolazione sarebbe diminuita di 250mila unità. Praticamente, è come se avessimo cancellato con un colpo di spugna Messina. Il paragone con la città siciliana calza a pennello sia per l’entità della sua popolazione sia perché nel decennio ha perso seimila abitanti. Il popolo italico è composto da 59.433.744 persone, come risulta dall’ultimo censimento i cui dati ufficiali stanno arrivando in questo periodo dopo la rilevazione – obbligatoria – alla quale ha partecipato, però, solo il 75 per cento dei nostri connazionali. Rispetto al 2001 siamo cresciuti del 4,3 per cento, ma l’incremento è dovuto solo agli immigrati: in dieci anni sono aumentati di 2.694.256 mentre gli italiani sono diminuiti di 250mila unità, segno che le nascite non coprono le… dipartite e che siamo poco propensi a fare figli.

Qualcuno dirà: è colpa della crisi che non induce a mettere su famiglia e a procreare. Certo, in parte è così, non si può nasconderlo. Però la crisi attanaglia almeno tutta l’Europa – per non allontanarci troppo – e altrove non si riscontrano questi dati. Addirittura, se guardiamo a una nazione che possiamo considerare “cugina” della nostra e come noi in crisi, la Spagna, vediamo che non è assolutamente così. I sudditi di Juan Carlos di Borbone dovrebbero essere più in difficoltà di noi – almeno così diciamo in Italia – eppure in un decennio sono aumentati di numero, arrivando a 46,8 milioni. Un incremento del 14,6% al quale hanno certamente contribuito anche gli stranieri (che sono 5,2 milioni, l’11,96% del totale), ma gli spagnoli si sono dati da fare, mettendo al mondo tanti di quei pargoli da far pendere la bilancia delle presenze verso un invidiabile più 2,2 milioni.

Come si vede, l’alibi della crisi non regge. Forse è una questione culturale e, perché no, anche religiosa. In compenso, stiamo riscoprendo la provincia, abbandonata con troppa fretta e molta speranza nei decenni passati. La popolazione si è spostata soprattutto nei comuni di media dimensione, dove si è registrato un aumento del 60,1%. La parte del leone (81%) l’anno fatta i comuni di dimensione compresa tra 5mila e 50mila abitanti; poi quelli tra 50 e 100mila e, infine, quelli con meno di 5mila abitanti. Gli incrementi più consistenti si registrano nel nord-ovest, nel nord-est e nel centro; invece il numero degli abitanti si è ridotto nei comuni del sud e delle isole. Questo dimostra che prosegue l’emigrazione verso le zone più ricche del paese. Una conseguenza importante, oltre allo spopolamento, è la minore rappresentatività di queste aree nel parlamento perché i seggi per la camera e per il senato vengono assegnati in base alla popolazione. Questo significa che ci sono aree del paese con più eletti e, quindi, con un peso politico maggiore. La popolazione si distribuisce per il 26,5% nell’Italia nord-occidentale, per il 23,5% in quella meridionale, per il 19,5% al centro, per il 19,3% nell’Italia nord-orientale e per il restante 11,2% nelle isole. Sommando il nord, si ottiene il 45,8 della popolazione complessiva del paese.

La regione più popolosa è la Lombar-dia con 9.704.151 residenti, quella con meno abitanti la Valle d’Aosta (126.806): praticamente una regione autonoma con gli stessi abitanti di una città come Pescara. Roma si conferma il comune più popoloso (2.617.175), segue Milano con (1.242.123), Napoli (962.003), Torino (872.367) e Palermo (657.561). Confermata la supremazia delle donne: ogni cento di loro ci sono 97,7 uomini; aumentano anche gli over 65, che ora sono il 20,8%, gli ultra 85/enni (al 2,8%) e gli ultracentenari che sono più che triplicati, passando da 6.313 a 15.080 (e due di loro hanno anche compiuto 112 anni!).

L’allungamento della vita sta a significare che si vive meglio anche perché ci si può curare di più, come conferma l’aumento a 43 anni dell’età media. Tutto sommato, almeno sotto il profilo della salute, stiamo bene. Sono i figli che mancano.