L’ISOLA FELICE CHE NON C’È PIÙ…

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 12 Agosto 2022

Felice, per intendersi, che veniva sbandierata qualche anno fa a indicare l’Abruzzo come terra immune da criminalità organizzata. L’Abruzzo forte e gentile e a prova di mafia. Si teorizzava una forza di valori genuini e inossidabili che avrebbero fatto da scudo a qualsiasi tipo di infiltrazione malavitosa. Un ragionamento, questo che prescindeva da un fatto incontrovertibile, ossia che la mafia non si ferma davanti a niente. Si voleva ignorare che la criminalità – quella che ormai non usa più con una certa frequenza le armi da fuoco e le bombe, ma quella che si avvale, ormai, di strumenti finanziari sofisticati per il riciclaggio del denaro provento di traffici indicibili – avrebbe finito per privilegiare proprio quei territori più o meno immacolati per meglio camuffarsi. Per investire su terreni, aziende, negozi e commerci senza destare eccessiva attenzione da parte delle strutture investigative preposte al suo contrasto. E così è avvenuto quello che ci si poteva aspettare. Molta parte del territorio abruzzese è diventato un boccone prelibato per le organizzazione malavitose. In particolare sono i territori di confine, come l’Alto Sangro, facilmente raggiungibili e con caratteristiche morfologiche che fanno gola a tutti, figurarsi a chi dispone di una gigantesca mole di liquidità finanziaria che deve riciclare, per meglio dire “ripulire”, con investimenti all’apparenza leciti.

L’allarme è arrivato forte e chiaro. Lo ha lanciato l’Associazione sindacale dei carabinieri (Unarma). Il clan dei Casalesi ha messo piede in Abruzzo. L’Associa-zione mette in guardia: privare i territori di confine di strutture giudiziarie può indebolire la lotta al contrasto a questo tipo di criminalità. In altri termini: abolire i tribunali minori, che guarda caso hanno giurisdizione proprio su questi territori come quello di Sulmona, ma anche quelli di Vasto, Lanciano e Avezzano, non va nella direzione giusta. Anziché essere soppressi andrebbero potenziati nell’ottica di una più efficace lotta alla proliferazione della criminalità organizzata. I dati sono veramente preoccupanti. Nell’ultimo biennio (2020/21) le inchieste connesse alla cosiddetta “mafia dei pascoli” hanno portato in Abruzzo all’adozione di 24 misure interdittive antimafia da parte delle Prefetture nei confronti di aziende le cui attività sono state ritenute attribuibili direttamente o indirettamente alla criminalità organizzata, con una tendenza in aumento del 71 per cento rispetto ai precedenti due anni. Sequestro di beni mobili, immobili e societari poiché acquisiti mediante il riciclaggio di “denaro sporco” proveniente da attività illecite dei clan. Una ramificazione fittissima nel tessuto sociale ed economico abruzzese.

Di fronte a questo scenario non si può comprendere come si faccia a tenere in un limbo di permanente sospensione l’attività dei tribunali che si trovano in prima linea al contrasto di questo fenomeno che comincia a manifestare effetti devastanti. Ridisegnare la geografia delle istituzioni giudiziarie senza tenere conto di questi fondamentali aspetti di illegalità significa solo fare un’operazione estetica e di risparmio. Nella lotta alla mafia, però, non si può risparmiare. Non si sono risparmiati, perché hanno pagato il prezzo più alto, operatori delle forze dell’ordine, magistrati e giornalisti.

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