L’ISOLA CHE NON C’È

L’ESPERIENZA A LAMPEDUSA IN UN’ESTATE DI SBARCHI
By Marta Rossi
Pubblicato il 1 Aprile 2014

“L’abbiamo chiamata così – spiegano Laura Bastianetto e Tommaso Della Longa, gli autori del libro che racconta la drammatica vicenda vissuta in diretta – perché, nei giorni in cui eravamo lì, abbiamo avuto la sensazione che nessuno capisse fino in fondo, né i media né la politica, ciò che stava davvero succedendo” “Lampedusa è un’isola che c’è, vive e combatte 365 giorni all’anno. L’abbiamo chiamata l’isola che non c’è’ perché, nei giorni in cui eravamo lì, abbiamo avuto la sensazione che nessuno capisse fino in fondo, né i media né la politica, ciò che stava davvero succedendo. E poi, il problema sostanziale è che dell’isola se ne parla solamente per l’ennesima emergenza o tre mesi all’anno per il mare e i tour operator. Subito dopo, cala il silenzio».

Laura Bastianetto e Tommaso Della Longa, entrambi giornalisti, hanno raccontato in un libro (Lampedusa – Cronache dall’isola che non c’è, edizioni Ensamble) l’esperienza che, nell’estate del 2011, hanno condiviso a Lampedusa con la Croce Rossa, da volontaria lei e da portavoce lui.

Un’estate di sbarchi, di conta delle vittime, di soccorsi a chi era sopravvissuto alla traversata dai paesi sconvolti dalla primavera araba e dalla guerra in Libia. “A Lampedusa abbiamo vissuto un’esperienza diretta, senza filtri – racconta Laura – . Lì non c’è tempo per creare sovrastrutture e barriere tra persone che si trovano a operare fianco a fianco sul molo per soccorrere delle altre persone che vengono da lontano, stremate dal viaggio. Noi eravamo quelli che tendevano le mani per farli scendere dai barconi, i primi ad accoglierli e a dar loro il ‘benvenuto in Europa’. Ecco perché siamo riusciti a entrare nelle teste e nei cuori dei personaggi che raccontiamo”.

Il libro è un romanzo diviso in quindici parti in forma di diario ognuna con un protagonista, “in questo modo – raccontano – abbiamo cercato di delineare un quadro a varie tinte proprio attraverso i personaggi che, durante un’ipotetica notte, raccontano, secondo un flusso di coscienza di pensieri e di ricordi, ognuno dal proprio punto di vista, tutto quello che, nel corso di diversi mesi, è successo a Lampedusa”.

I personaggi sono inventati ma Laura e Tommaso hanno preso l’ispirazione da persone incontrate sull’isola: “Ogni personaggio, attraverso il flusso di coscienza, racconta quel preciso momento e tutta la sua storia e nei capitoli finali le storie si intrecciano. La forma della narrativa lascia spazio alla libertà e alla fantasia”. Tra i protagonisti, attraverso i quali si traccia uno dei tanti viaggi che ogni giorno centinaia di persone dai paesi arabi e dal nord Africa compiono per arrivare sulle nostra coste, c’è anche una tartaruga, “caretta caretta”. “Ci è venuta in mente – spiegano gli autori – perché a Lampedusa c’è anche un centro di cura per queste bellissime tartarughe che spesso presentano menomazioni alle zampe. Vengono prese dal mare, curate nel centro e poi rimesse nel loro habitat naturale. Abbiamo cercato d’immaginare i viaggi dei migranti con gli occhi di una piccola tartaruga, l’unica forse che realmente assiste alla tragedia delle morti in mare di tutti i migranti che non riescono ad arrivare a destinazione. è l’unica davvero libera di spostarsi da una parte all’altra del mondo senza confini e senza barriere”.

Ci sono ragazzi tunisini che scappano dalla guerra, migranti che guardano all’Europa come una meta di salvezza. Ma anche giornalisti, impegnati in quei mesi a raccontare ciò che accadeva sulla piccola isola siciliana e i volontari. Un racconto intenso, con i protagonisti ad arrotolare la matassa di una storia che si ripete ma che alla quale non sempre prestiamo attenzione.

Laura e Tommaso Lampedusa non l’hanno mai più abbandonata: “Continuiamo a portare in giro le storie di Lampedusa, a parlare di quest’isola così bella. La porta d’Europa, ora anche candidata al Premio Nobel per la pace. Anche se il vero riconoscimento sarebbe quello di non far più accadere tragedie simili a quella del 3 ottobre scorso quando morirono centinaia di persone a seguito di un naufragio proprio sotto il nostro naso. Abbiamo girato per l’Italia – raccontano – ma soprattutto siamo andati nei posti cruciali dov’è giusto portare Lampedusa. Siamo stati all’Onu a New York e al parlamento europeo a Bruxelles. Nel primo caso siamo rimasti sgomenti quando un giornalista ci ha chiesto What is Lampedusa? Nel secondo caso abbiamo trovato ascolto ma finché siamo rimasti lì. Poi il silenzio. Insomma sembra che verso il tema delle immigrazioni ci sia tanto interesse che però si esaurisce sempre nell’attimo immediatamente successivo alle parole. Alla fine le cose restano sempre tutte uguali”. Ultimamente Lampedusa – Cronache dall’isola che non c’è è arrivato anche in Grecia: “Recentemente siamo stati anche nella sede del parlamento europeo ad Atene. L’idea è che in Grecia la questione immigrazione sia ancora ferma a qualche decennio fa, sia dal punto di vista culturale, sia da quello politico. Ci sono coste di isole greche, come quella di Lesvos, che sono davanti alla Turchia. Qui il confine fisico tra Grecia e Turchia è in mare: il gioco perverso è quello di spingere o far tornare indietro le barche cariche di migranti. Se poi, tra un respingimento e l’altro, ci scappa la tragedia, tutti alzano le mani. Quello che colpisce è quanto le associazioni che si occupano di migranti e i giornalisti presenti nella sala ateniese siano rimasti assolutamente colpiti, in positivo, dal sistema italiano. L’operazione Mare nostrum, il lutto nazionale per la tragedia di ottobre al largo di Lampedusa, la differenza tra Centri di accoglienza (Cara) e Centri di identificazione ed espulsione (Cie), il numero di richieste d’asilo accolte, la disponibilità ad andare a salvare in mare chi è in pericolo: quello che per noi sembra il minimo sindacale e comunque un sistema da ricostruire, in Grecia sembra un miraggio. E allora pensiamo alla disparità di trattamento dei migranti tra i vari paesi del sud del Mediterraneo. Pensiamo all’egoismo dei paesi del centro-nord Europa che proprio non ne vogliono sapere. Alle frontiere francesi chiuse nel 2011. Alla mancanza di un piano di accoglienza europeo dopo trent’anni di immigrazione. Tutti parlano della mancanza di soldi per accogliere i migranti, ma forse bisognerebbe solo riorganizzare il sistema Frontex: se abbiamo milioni di euro da spendere per chiuderci come una fortezza, perché non li spendiamo per salvare vite e mettere a punto un vero sistema di accoglienza europeo? E ci chiediamo – concludono – a questo punto se non sia il caso di cambiare il titolo del nostro libro: Lampedusa, cronache da un’Europa che non c’è”.

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