L’INFORMAZIONE SULL’ABORTO COME PRATICA CRIMINALE

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Febbraio 2017

Una delle più spente presidenze della quinta Repubblica francese, quella del socialista François Hollande, si concluderà pessimamente il prossimo aprile all’insegna di una legge sull’ostacolo all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), che viene giudicata da molti come un attentato alla libertà di opinione. Sino a oggi “l’ostacolo” era costituito da pressioni fisiche e psicologiche, che potevano portare a condanne a due anni di prigione e a 30mila euro di multa. Con la nuova legge, che dovrebbe essere approvata entro febbraio in un testo concordato fra Camera e Senato (in una maggioranza comprendente socialisti, centristi e moderati di destra), il delitto si estenderebbe ai siti internet, ai centri d’ascolto e a tutte quelle fonti (anche i giornali?) che fossero giudicate dall’apposito organismo di censura di stato non veritiere e tali, mediante pressioni psicologiche e morali, da “indurre in errore” e a far rinunciare a ricorrere all’aborto. In pratica, potrebbe diventare un crimine persino la semplice ricerca di informazioni sull’Ivg.

Per questa ragione un giornale come Le Monde, sulla cui laicità non è lecito dubitare, ha scritto: “La condizione di ‘indurre intenzionalmente in errore’ sembra molto fragile. Se la causa è buona, lo strumento è dunque contestabile, persino pericoloso. In cattive mani, potrebbe estendersi in altri campi della libertà di espressione…”. Analoghi giudizi vengono da altri fogli, come Libération (per il quale si tratta di una norma “sbilenca”) e Charlie Hebdo, che non possono essere certo rimproverati di  vetero-conservatorismo o di spirito clericale. Senza contare la presa di posizione del più diffuso quotidiano francese, Ouest-France, estremamente critico nei confronti della maggioranza raccogliticcia che si accinge ad approvare la legge.

Probabilmente il tasto più doloroso lo ha toccato il presidente della Conferenza episcopale di Francia, monsignor George Pontier, arcivescovo di Marsiglia, quando si erge a difensore della libertà di espressione, una di quelle libertà che evidentemente il laicismo transalpino ha deciso di trascurare. Lo ha fatto in una inusuale lettera al presidente Hollande, nella quale con una riflessione pacata fa presente come l’argomento avrebbe dovuto essere oggetto di un largo dibattito pubblico, in quanto coinvolge più di un aspetto che interessa tutti i cittadini. Come ci si doveva aspettare, i difensori del provvedimento si sono lasciati andare a crisi isteriche coinvolgendo nelle risposte argomenti – per esempio la religione – che nulla avevano a che fare con il tema specifico. Forse perché sentono che sfugge loro di mano la presunzione di rappresentare il baluardo delle libertà.

Si tratta di una pagina nera della storia giudiziaria europea, per una vicenda che potrebbe essere chiamata a pretesto di eventuali, anche se diversi, provvedimenti restrittivi in altri paesi della stessa UE nei quali, come la Polonia e l’Ungheria, si stanno facendo strada tentazioni autoritarie. Perché non dobbiamo dimenticare che anche da noi qualcuno invoca lo strumento giudiziario per regolare questioni etiche. Pensiamo alla strisciante polemica nei confronti dei medici obiettori di coscienza circa l’aborto e alle perentorie contestazioni che da certi ambienti vengono pretestuosamente sollevate sul diritto di astenersi da una pratica che – diciamolo francamente – risulta delittuosa. Il segnale che viene dalla Francia, con il vulnus al diritto di espressione, è tutt’altro che rassicurante. Anche da noi gli uomini liberi devono continuare a vigilare.

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