L’ETICA IN BOTTIGLIA

Il vino dell’azienda agricola toscana La Cura offre ai non vedenti e ipovedenti la possibilità di leggere l’etichetta scritta in caratteri braille e un QR code dal quale ricevere un audio guida per conoscere tutta la storia del prodotto Si chiama La Vedetta, è un cabernet sauvignon ricavato da vigneti delle colline toscane e ha un’etichetta in braille, per permettere anche ai non vedenti di leggerne le caratteristiche. La pesantezza della sua bottiglia è pensata per favorirne la manipolazione; protegge dagli urti, dagli sbalzi di temperatura e dal contatto con i raggi ultravioletti. Ne vengono prodotte mille bottiglie solo nelle annate migliori. A occuparsi di queste bottiglie speciali è l’azienda La Cura di Massa Marittima. Il proprietario, Enrico Corsi, è figlio d’arte. La sua famiglia, da sempre legata alla terra e alla cultura contadina, è attenta alla sperimentazione, all’approccio ecologico nella lavorazione del suolo e dei vigneti e al risparmio energetico. Con un impianto fotovoltaico da 1 megawatt, l’azienda produce da sé l’energia elettrica di cui ha bisogno. La lavorazione del suolo e dei vigneti risponde a standard ecologici ed è coordinata dall’università di Pisa.

L’idea di avere un’attenzione anche per i non vedenti è arrivata in occasione di una cena al buio organizzata a Massa Marittima dall’Unione italiana dei ciechi e degli Ipovedenti. Quella sera, Enrico Corsi si accorge che tutte le persone bevevano il vino senza conoscerne il colore, le qualità, le caratteristiche. E allora arriva l’idea: perché non dotare le bottiglie dell’etichetta in braille e anche di un QR code dal quale ricevere un’audio guida per conoscere tutta la storia di quel vino?

In realtà, è stato più facile a dirsi che a farsi: con un costo irrisorio, le bottiglie de La Vedetta sono state dotate di queste caratteristiche e presto anche altri vini seguiranno questa strada. Il progetto è stato subito sostenuto con entusiasmo dall’Uici di Grosseto che ne ha curato la traduzione. A fine dicembre, a Roma, il vino è stato presentato con successo: durante Teniamoci per mano, una giornata insieme all’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Grosseto, è avvenuta la presentazione ufficiale.

L’azienda di Enrico Corsi affonda le radici nei primi del 900, quando il nonno produceva circa 100 ettolitri di vino e lo distribuiva nella cantina di casa, a vero km0. Nel frattempo, la produzione si è estesa che per l’epoca erano una gran quantità e lo distribuiva a km 0 perché vendeva tutto a bicchieri nella vineria di casa, in paese. Nel 1968 il papà di Enrico acquista una coltivazione incentrata su orticoltura e cerealicoltura. Costretto da una normativa della provincia a tenere una vigna per essere classificato come agricoltore, Andrea ne impianta subito due ettari. Oggi gli ettari coltivati a vigneto sono dodici per una produzione complessiva di 30mila bottiglie.

L’etica è sempre stata al centro della vita di questa azienda a conduzione familiare, da sempre legata alla cultura contadina. La quantità di vino prodotto viene controllata secondo il principio del non spreco: “Non avendo mercato non vogliamo imbottigliare più della quantità che sarebbe vendibile ad un prezzo equo. L’intenzione di espandere il mercato e cercare di crescere ovviamente c’è, ma mantenendo la filosofia del servizio: fare un vino “poco” ma buono e che costi in maniera giusta. Prima per esempio la produzione ortofrutticola veniva fatta in grande stile per venderla ai supermercati, ma per farla “perfetta” come ce la chiedeva la grande distribuzione dovevamo avvelenarla un giorno sì e un giorno no. Ci siamo stancati e ora ne facciamo a meno, limitandoci ai pochissimi trattamenti indispensabili per combattere efficacemente i patogeni. Noi si vende a casa e si compra in fiera, come diceva nonno Valdemaro, perché comprando in fiera si sfrutta la concorrenza dei venditori e vendendo a casa si ha la possibilità di “fare confidenza” offrendogli la possibilità di assaggiare i nostri prodotti per fargli capire  chi siamo e come lavoriamo. La mia nonna diceva che è un peccato sprecare la roba, nella civiltà contadina non si butta via niente”.