LE TRE VENDETTE di DAVID CAMERON

In un colpo solo David Cameron ha consumato tre vendette: contro gli avversari, contro i sondaggisti e contro l’Europa. Il leader conservatore inglese (il più giovane primo ministro da duecento anni a questa parte) ha vinto le elezioni politiche generali del 7 maggio scorso, forse le più importanti svoltesi quest’anno nel continente, con una maggioranza assoluta, 331 deputati, che non si ripeteva da un ventennio e che permette al suo partito di governare da solo, senza condizionamenti.

I risultati delle consultazioni sono stati un durissimo colpo per i liberali, praticamente cancellati dal panorama politico (da 57 a 8 mandati), per gli antieuropeisti, che hanno ottenuto un solo deputato (neppure il loro leader è stato eletto), per il Labour, che ha perso un decimo dei rappresentanti, da 258 a 232. Il tutto conclusosi con le dimissioni dei tre perdenti, nell’ordine il liberale Nick Clegg, l’unionista Nigel Farange, il laburista Ed Miliband.

La seconda vendetta è nei confronti dei sondaggisti, che hanno sbagliato tutto, avendo dato Cameron quasi per spacciato e prevedendo una situazione di sostanziale parità fra il suo partito e i laburisti di Miliband, con tutte le conseguenze di ingovernabilità che ciò comportava. Magra consolazione l’aver azzeccato il clamoroso esito del voto per gli indipendentisti scozzesi, 56 su 59 distretti della regione.

I manipolatori delle inchieste sono oggi addirittura sotto inchiesta per l’avventatezza delle cifre che avevano scaricato sul pubblico; anche se va detto che i sistemi di rilevamento risentono del moltiplicarsi di nuovi mezzi di comunicazione. In questo caso, oltretutto, può aver influito il riporto dei voti dai laburisti ai conservatori da parte di votanti non rassicurati dell’ipotesi che, nel dopo elezioni, il Labour potesse formare un governo con gli scozzesi, nei cui confronti non manca, nel Regno Unito, una secolare diffidenza.

E infine c’è l’Europa. Brucia ancora lo schiaffo del 1963, quando il primo ministro inglese Harold MacMillan si recò, cappello in mano, a chiedere a Charles De Gaulle, allora presidente all’Eliseo, che la Gran Bretagna entrasse nel Mercato comune europeo e si sentì rispondere di no, con in più (lavoravamo a Parigi e ricordiamo il fatuo vanto dei francesi) la sarcastica esortazione: “Mylord, non pianga”. Oggi, in qualche modo, Cameron manda a dire: “Non piangere, Bruxelles”, dopo aver ribadito l’intenzione di far svolgere nel 2017 un referendum per sapere dai 64 milioni di inglesi se vogliono restare nell’Unione Europea. Non è cosa da poco l’eventuale “Brexit”, l’uscita dell’Inghilterra, dalla Ue: una vicenda da far trattenere il respiro al mondo  per tutte le conseguenze geopolitiche ed economiche alle quali può condurre un’eventuale scelta di autonomia da parte di Londra. E bisogna vedere come andrà a finire, magari con mercanteggiamenti e concessioni da parte dell’Unione.

Le elezioni in Gran Bretagna hanno anche un risvolto per noi. I partiti si sono affrettati a impugnare la vittoria di Cameron per trarne qualche profitto propagandistico, ma nessuno, fra quelli che a suo tempo avevano condotto l’offensiva contro la nuova legge elettorale Italicum, accusata di tutte le nefandezze per attribuire un premio di maggioranza a chi ottiene oltre il 40 per cento dei voti, nessuno ha fatto notare che i conservatori hanno preso più della metà dei deputati con il 36,9 per cento. Paese che vai, sistema elettorale che trovi. Che cosa vogliamo dire di quello inglese, che appartiene alla prima democrazia politica nata in Europa?