LE TRE SFIDE DI FRANCESCO

TRA RIFORME E CAMBIAMENTI
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 30 Dicembre 2013

C’è chi parla di nuova evangelizzazione. Chi di “nuova era” della chiesa cattolica. Chi del ritorno al concilio Vaticano II. Ancora, c’è chi dice che la chiesa, finalmente, ha ripreso a dialogare con il mondo. Certo, papa Francesco sta rivoluzionando a modo suo la teologia e la pastorale della comunità ecclesiale: i suoi gesti, le sue parole, e le sue decisioni in ordine a cambiamenti radicali nella struttura organizzativa della chiesa fanno discutere chi non è d’accordo e gioire chi questi cambiamenti li sognava da tempo.

Il C8, gli otto cardinali scelti da Francesco per ridisegnare il volto della curia, sono al lavoro; la riforma dello Ior, la banca vaticana, è ben più di un progetto, quasi una realtà. Francesco ha chiesto alla Cei, la Conferenza episcopale italiana, una riforma della sua organizzazione, oggi giudicata elefantiaca e costruita più per un clero “forte” con tutto quello che c’è “fuori” e quindi capace di mediare rendite di posizioni con la politica. La riforma non tocca solo l’organizzazione interna della Cei ma va a incidere profondamente anche nei gangli della pastorale e dell’impegno missionario delle diocesi. Uno snellimento di esse, infatti, è previsto. Sono 226 in Italia: troppe agli occhi di Francesco e del nuovo segretario di stato Parolin. Sprechi inutili, soprattutto economici. Come inutile sembra essere il perpetrarsi di uno status ecclesiale forgiato però in tempi diversi dall’attuale. Anche se la Cei fa sapere che i criteri che si riferiscono all’eventuale taglio delle diocesi riguardano il numero degli abitanti, l’estensione territoriale, le particolari tradizioni di radicamento religioso.

Una riforma che sarà presentata a gennaio: nel maggio del 2014 avremo un nuovo presidente della Cei eletto direttamente dall’assemblea dei vescovi italiani e non dal papa e anche a breve un nuovo segretario generale, visto che monsignor Mariano Crociata è stato eletto vescovo della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Non è cosa da poco per le vicende storiche del cattolicesimo in Italia.

Per monsignor Crociata, persona mite, intelligente e preparata, ex vescovo di Noto e già collaboratore del promettente arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, prematuramente scomparso nel 2006, alcuni commentatori dicono che si tratta evidentemente di una diminutio, anche se il prelato ha accettato la nomina in spirito di servizio e obbedienza. Nominato da papa Benedetto XVI nel settembre 2008 segretario generale della Cei, ha coordinato la pastorale della chiesa italiana in anni difficili e di transizione, prima con l’accoppiata Bagnasco-Benedetto e oggi con Francesco. I suoi predecessori hanno avuto la berretta rossa: Ennio Antonelli e Giuseppe Betori sono andati a Firenze, Camillo Ruini a Roma, Dionigi Tettamanzi a Genova. Tutte sedi cardinalizie. Francesco, con l’aiuto di Parolin, sta entrando di peso nella “questione Italia” e dopo aver suggerito alla Cei di nominare un semplice prete come segretario generale, in spirito di servizio e non come trampolino di lancio per future carriere ecclesiali, ha iniziato a imporre, in maniera non più soft, uno stile diverso anche all’interno della più complicata e grande organizzazione ecclesiastica del mondo. La nomina di monsignor Crociata, comunque importante, rende chiaro in quale direzione voglia muoversi la riforma voluta da Francesco. Una riforma che intende “liberare” i tanti segni profetici della chiesa italiana nell’aiuto ai bisognosi e nell’annuncio di una parola accogliente che accarezzi il volto di tutti.

L’impressione, a volte, è che la chiesa italiana fatichi a sintonizzarsi al nuovo corso. Eppure il papa era stato fin troppo chiaro nel suo primo incontro con i vescovi italiani riuniti a Roma per l’assemblea della Cei. “La mancata vigilanza – secondo Francesco – rende tiepido il pastore, lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della madre chiesa gerarchica, rendendola meno feconda”.

Le sfide che Francesco ha davanti a sé sono essenzialmente tre: una riforma interna della chiesa, la sua missione nel mondo, il ruolo del ministero petrino. E se per la riforma interna, forse la più difficile da applicare, ha istituito una commissione apposita, per la nuova evangelizzazione e il ruolo del papa parlano le sue parole e i suoi gesti pieni di umanità.

È indubbio che l’evangelizzazione e la missionarietà dell’annuncio della parola di Dio è il punto di svolta dell’attuale pontificato. Il mondo e i popoli hanno bisogno di speranza. La chiesa universale come vorrà ab-bracciare questa speranza? Tenerezza, misericordia, perdono, attenzione alla sofferenza: sono questi i termini di un nuovo lessico della speranza dove credenti e non credenti possono abbeverarsi senza paura di perdere i propri riferimenti religiosi oppure sentirli troppo aggressivi.

Una missionarietà che torna a pescare slanci e sentimenti nella collegialità, nella comunione, nella sinodalità. Sono queste le parole chiavi per comprendere la riforma che papa Francesco vuole imprimere al governo della chiesa. Una riforma che dovrà appoggiarsi a un apparato organizzativo limpido, trasparente, sobrio ma che trae linfa vitale dall’autorità petrina che è “costretta” a collaborare con le chiese locali e con il laicato. Sono i temi espressi nella bellissima esortazione apostolica Evangelii gaudium (ne parleremo sul prossimo numero). Non un sommo pontefice che comanda, ma un Petrus che attua i consigli della grande chiesa universale. In compagnia dei fratelli vescovi.

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