LE PIAGHE DEL RISORTO
Una sorpresa finale suscita immenso stupore nella fede cristiana: il Risorto conserva le piaghe della croce. È l’ultima rivelazione del racconto della Passione dell’evangelista Giovanni. Egli dà l’impressione che le piaghe, causa della morte del Crocifisso, siano anche la causa della sua risurrezione. Non solo quelle dei chiodi nelle mani e nei piedi, ma anche quelle della flagellazione e dei maltrattamenti. Nessuno come lui dà importanza alle piaghe del crocifisso-Risorto, perché nessuno come lui è convinto che sono i segni dell’amore sino alla fine.
La fede pasquale dei discepoli è legata al riconoscimento di Gesù in forza delle sue piaghe. Mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore, 20,20. Anche il più miscredente e razionalista di loro, Tommaso, crolla e dà spazio alla fede dinanzi alla verità lampante delle piaghe: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente, 20,27. È probabile che Tommaso non abbia avuto bisogno di tale verifica materialistica, ma il rapporto tra fede e piaghe del Risorto è ormai stabilito per tutti i credenti. Gesù non consente all’innamorata Maddalena di toccarlo. Credendo ella capirà che la fede è un legame di tutt’altro genere di quello degli abbracci. Ma all’occorrenza egli offre la garanzia fisica delle piaghe.
Sono piaghe gloriose perché indicano Passione e risurrezione insieme. È la tematica più avvincente di Giovanni che, mentre anticipa nella Passione i contenuti della risurrezione, trascina dentro la risurrezione i contenuti della Passione. “Gloriose” non solo perché Gesù è risorto, ma anche perché è morto per amore e così ha vinto la morte e il peccato.
Guardando il Crocifisso e il Risorto di Giovanni bisogna fare molta attenzione alle piaghe. Esse attestano che il Risorto è lo stesso che fu il Crocifisso e spiegano il legame tra morte e risurrezione. Farsi uomo, soffrire e morire non fu per il Verbo una cosa secondaria, come se avesse preso la carne per fare la redenzione e poi se ne fosse sbarazzato per tornare alla gloria che aveva lasciato da parte nell’incarnarsi. Il Verbo non ha mai cessato di appartenere alla Trinità. Ora non cesserà mai più di appartenere all’umanità. Torna al Padre ma con la sua umanità glorificata, la quale conserva le piaghe.
Se risorgendo Gesù avesse guarito le piaghe del suo corpo, in che modo si sarebbe espressa la forza del suo amore e della gloria conseguente? Gesù è risorto ad una vita nuova che a noi non è dato neppure di immaginare. La risurrezione fa parte della storia di Gesù, quindi è anche un fatto storico pur restando trascendente, perché prodotto da Dio che è oltre la storia. L’umanità di Gesù risorto e asceso al cielo resta piagata, per presentare al Padre l’amore donato e così intercedere in eterno per noi. Le piaghe non emettono dolore e sangue ma gloria e amore. Ciò che in terra fu Passione, in cielo è gloria.
Lo stesso dinamismo si riproduce in che segue nella vita il Crocifisso-Risorto nel cammino della fede. Guardando le piaghe del Risorto troviamo il senso di tutte le piaghe della nostra vita. Chi è piagato dal dolore e abbattuto dalla morte può contemplare in Gesù il destino di ogni dolore trasformato in amore. Al contrario, chi è causa di piaghe ai propri fratelli e sorelle sente dalle piaghe di Gesù il giudizio di condanna per il male che compie. Se le piaghe accettate sono valutate dall’amore, le piaghe inflitte possono essere cancellate solo dal perdono. Le piaghe del Crocifisso chiamano a conversione, effondono salvezza e giudicano la storia.
In certi momenti della vita sembra che tutto sia fallimento. Lo sperimentiamo nel dolore di una malattia, nella solitudine dell’incomprensione o nel non riuscire a ottenere quel che vorremmo. Trasformare in amore questi cumuli di dolore è possibile. Le piaghe gloriose di Gesù ne sono la garanzia. Auguriamoci e preghiamo che la luce delle piaghe del Risorto illumini ogni aspetto e momento buio della vita personale e dell’umanità intera.