LE PAROLE NON SONO ABBASTANZA
“Abbiamo la nostra parte di responsabilità – osserva l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, una delle massime autorità vaticane della regione – in queste tragedie devastanti. Non possiamo più limitarci a parlare di dialogo, di giustizia e di pace. Dobbiamo combattere la povertà e l’ingiustizia e offrire una testimonianza continua di misericordia, per rivelare al mondo l’amore e la tenerezza del nostro Dio”
La situazione dei cristiani in Siria, Iraq ed Egitto è una completa tragedia. A dirlo, nella sua prima conferenza stampa, in occasione del Natale, l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, una delle massime autorità vaticane della regione. “In queste terre, origine della nostra civiltà, il ciclo vizioso della violenza che è all’opera sembra senza speranza e senza fine”, ha aggiunto, con il solito linguaggio schietto che lo contraddistingue.
Padre Pierbattista Pizzaballa, già Custode di Terra Santa fino allo scorso aprile, è stato nominato da papa Francesco, lo scorso giugno, elevandolo alla dignità di arcivescovo, amministratore apostolico della sede vacante del patriarcato latino di Gerusalemme, dopo la rinuncia al governo pastorale del patriarcato presentata da sua beatitudine Fouad Twal.
Un curriculum “forte”, quello del francescano Pizzaballa. Nato in Cologno al Serio, in diocesi di Bergamo, il 21 aprile 1965, è stato professore di ebraico biblico alla facoltà francescana di Scienze bibliche e archeologiche di Gerusalemme. Ha iniziato il servizio nella Custodia il 2 luglio 1999 e poi non se ne è più allontanato. Viene eletto Custode di Terra Santa e Guardiano del Monte Sion nel maggio 2004. Nel 2010 viene di nuovo rieletto e poi, di nuovo, la santa sede gli chiede di fare un ulteriore triennio. Il suo mandato si è concluso nell’aprile 2016 quando è stato succeduto da padre Francesco Patton, di origini trentine.
Papa Francesco ha affidato dunque a un italiano la guida della diocesi latina di Gerusalemme dopo ventinove anni e due patriarchi arabi, il palestinese Michel Sabbah nel 1987 e il giordano Twal nel 2008.
“Tutti noi – ha continuato monsignor Pizzaballa – abbiamo visto le immagini di Aleppo della scorsa settimana, ma anche di tutta la regione durante i lunghi anni del conflitto”. Ma è bene dare un occhio anche alla situazione in Terrasanta, che “riecheggia l’estremismo e il fondamentalismo che stanno crescendo in tutto il mondo”. Per padre Pizzaballa, inoltre, il futuro appare “appannato”. Ma, a suo avviso, si possono vedere alcune luci all’orizzonte, soprattutto grazie alla guida e alla predicazione di papa Francesco.
Ricorda che è l’intera regione e da lunghi anni a vivere questa tragedia, fatta di guerre alimentate dal “commercio delle armi, dagli interessi tra le potenze, da un fondamentalismo implacabile”. Piaghe da cui non si esce con una soluzione solo militare. “La pace – spiega – avrebbe bisogno di negoziati politici e soluzioni. Con l’esercito si può vincere una guerra, ma per ricostruire serve la politica. E non la vediamo. Ci sono molti interessi in gioco, ma alla fine sono i poveri e i deboli a pagarne il prezzo, e qui lo hanno pagato fin troppo”.
Sulla scia del magistero di papa Francesco, padre Pizzaballa – che tanti vedono tra i possibili candidati al posto del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, quando scadrà il suo mandato che, si dice, avverrà intorno al maggio 2017 – usa parole e immagini di misericordia e tenerezza.
“Abbiamo la nostra parte di responsabilità – spiega – in queste tragedie devastanti. Non possiamo più limitarci a parlare di dialogo, di giustizia e di pace. Le parole non sono abbastanza. Dobbiamo combattere la povertà e l’ingiustizia e offrire una testimonianza continua di misericordia, per rivelare al mondo l’amore e la tenerezza del nostro Dio”.
Ma dietro le parole dialoganti c’è una terra a volte inospitale dove i cristiani d’oriente soffrono per la vita di ogni giorno, offrendo spesso un martirio che pare dimenticato da tutti e da un mondo dell’informazione che fa fatica a parlarne. Gli episodi di razzismo etnico e religioso sono ormai quotidiani, gli atti vandalici contro chiese, cimiteri e altre strutture cristiane avvengono spesso nel silenzio generale.
La chiesa di Gerusalemme non è rassegnata: “Riconosce il suo bisogno di rinnovamento spirituale e sta entrando in un periodo di riforma, in termini di organizzazione, amministrazione e impegno pastorale”. Una riforma che sarà nel solco proposto da papa Francesco, “l’unica voce chiara e profetica che il mondo di oggi può ascoltare con fiducia”.
Intanto, si lavora sodo. Gli uomini, in Terra Santa, fanno quello che è possibile. I restauri, ad esempio, alla Tomba di Gesù e alla basilica della Natività a Betlemme, entrambi in atto grazie alla collaborazione tra le diverse confessioni, sono un esempio di come la realtà, alcune volte, supera l’idea. “Lavorare con tutti gli uomini di buona volontà – compresi ebrei, musulmani e persone non credenti – per edificare ponti, assistere i più poveri, educare i figli, accogliere i rifugiati e i senza casa”.
Dalla sofferenza nasce la speranza, dunque. Con papa Francesco, poi, tutto è possibile. La misericordia quotidiana fa breccia con un tempo che sarà lungo, ma sarà comunque. E il tempo oggi ci dice che di fronte alle difficoltà di una regione martoriata da guerre e conflitti, il dialogo e la pace tra i popoli che vivono in quei luoghi è l’unica arma spuntata per ridisegnare tracce di buon futuro.
Padre Pizzaballa è uomo forte, concreto. Sa vedere oltre. La mano di Francesco lo accompagnerà verso i territori sconfinati della fiducia in Dio e del coraggio della pace tra gli uomini.