L’ASCENSIONE SUL MONTE DEGLI ULIVI

By Domenico Lanci
Pubblicato il 2 Aprile 2013

ALL’INTERNO DELLA PICCOLA EDICOLA SI TROVA LA PIETRA CHE LA TRADIZIONE ASSOCIA A QUELL’ULTIMO PASSO TERRENO DI GESÙ E CHE TANTI PELLEGRINI VISITANO CON FEDE E DEVOZIONE

Tutta la vita di Gesù va vista in funzione della redenzione dell’umanità. Dal concepimento nel seno di Maria per opera dello Spirito Santo alla nascita a Betlemme, dalla vita nascosta a Nazareth all’annuncio del regno di Dio per le vie della Palestina, dalla passione e morte alla risurrezione e ascensione al cielo. Nessun atto è disgiunto dall’altro. La sua vita forma un unicum, ossia un tutt’uno finalizzato alla salvezza dell’uomo. Di qui, il senso di quella espressione da lui pronunziata prima dell’ultima cena: “Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi”. Quasi a voler dire, che la sua vita era tutta protesa verso quel momento memorabile, la realizzazione del progetto di Dio espressa dall’evangelista Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede il lui abbia la vita eterna”.
Abbiamo visitato, seppur virtualmente, vari luoghi della vita di Gesù, come Betlemme dove è nato, il Cenacolo dove ha istituito l’eucaristia. Questa volta, in pieno tempo pasquale, voglio invitare i lettori a sostare sul luogo da dove Gesù, secondo la tradizione, è asceso al cielo. Di questo evento, che segna la fine della vicenda terrena del Signore, parlano diversi autori del nuovo testamento. Ovviamente con varianti l’uno dall’altro, le quali offrono elementi di grande importanza sia sotto l’aspetto toponomastico che teologico. Cominciamo con Luca che ne parla sia nel vangelo che negli Atti degli apostoli. Nel primo, nomina la località in modo generico: “Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (Lc 24,50-53). Nel secondo libro si dice: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra. Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo. Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato” (At 1,8-12). Notiamo che in questo testo, Luca precisa tre elementi: il villaggio di Betania, il monte degli Ulivi e il cammino consentito in giorno di sabato. Matteo invece, omettendo il luogo dove Gesù fu visto per l’ultima volta dagli apostoli, tra cui vi era anche lui, concentra l’attenzione su una espressione che Gesù pronunziò prima di ascendere in cielo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Si tratta di una fondamentale verità che è di sommo conforto per i cristiani e, nello stesso tempo, di valore escatologico, in quanto proietta lo sguardo alla fine dei tempi.

I primi discepoli di Gesù sicuramente si saranno informati dagli apostoli sul luogo preciso dell’Ascensione. E, data l’importanza dell’evento, non avranno mancato di visitarlo e memorizzarlo. La più accreditata tradizione, confortata dalla ricerca archeologica e storica, individua il sito sul monte degli Ulivi. Già in epoca bizantina in quell’area esisteva una grande basilica contraddistinta al centro da una piccola edicola chiamata Imbobom (sulla vetta). Fu fatta costruire nel 378 da una ricca matrona romana di nome Poimenia. Due anni più tardi fu visitata e descritta dalla famosa pellegrina Egeria. Quella chiesa però venne incendiata dai persiani e successivamente ricostruita. Oggi resta l’edicola a forma ottagonale, racchiusa dentro un recinto costruito dai crociati. È ornata da una serie di archetti sostenuti da agili colonne con capitelli. Questo luogo sacro fu trasformato in moschea dopo la vittoria del sultano Saladino nel 1187. All’origine l’edicola aveva un’apertura alla sommità come memoria dell’ascensione del Signore al cielo. Con l’avvento dei musulmani la cupola fu chiusa. Ed è rimasta così fino ad oggi.

All’interno viene venerata sia dai cristiani che dai musulmani una pietra, isolata nel pavimento, sulla quale si vuol vedere l’impronta dei piedi di Gesù. La tradizione al riguardo è antica. È testimoniata perfino dalle lettere di Paolino da Nola nel 401: “Così in tutta la superficie della basilica solo questo luogo rimane verdeggiante e la terra offre alla venerazione dei fedeli l’impronta dei piedi del Signore, in modo che davvero si può dire: noi lo abbiamo adorato là dove si sono posati i suoi piedi”.

Ma ascoltiamo il racconto che ne fa un’attenta visitatrice, Caterina Foppa Pe-dretti, che si recò al santuario nel maggio del 2012: “Qui, all’interno della piccola edicola a pianta circolare che resta a memoria dell’Ascensione del Signore, si trova la pietra che la tradizione associa a quell’ultimo passo terreno di Gesù e che tanti pellegrini visitano con fede e devozione. E il luogo ha in effetti origini molto antiche, ospitando un primo santuario fin dal IV secolo, il quale venne poi distrutto e sulle cui rovine i crociati edificarono una chiesa di vaste proporzioni. Con l’avvento musulmano il santuario fu trasformato in mo-schea ed oggi ne sopravvive solo la piccola edicola, tuttora di proprietà musulmana. All’antico edificio a cielo aperto, quasi a voler indicare la via che conduce al cielo e che Gesù stesso ha percorso, i musulmani hanno aggiunto la cupola, che fino ad oggi chiude la volta superiore”.

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