L’ANSIA DA SELFIE
Secondo gli esperti più si rimane sui social più aumenta il timore da aspetto fisico, quello che poi spinge a ritoccare le foto. L’illusione che si possa inseguire una perfezione che, nella realtà, non esiste e non potrà mai esistere
Piacersi, amarsi è impresa difficile. Lo è sempre stato, oggi ancora di più perché siamo nell’era dei social, sempre sotto i riflettori, a fotografare noi stessi, quello che facciamo, il lavoro, il tempo libero, una festa con gli amici, una vacanza. I sociologi lo hanno chiamato “comportamento da selfie” che, a dire il vero, riguarda anche gli adulti ma è stato coniato soprattutto per la “Generazione Z”, i nati a cavallo tra i due millenni, il 1997 e il 2012, che utilizzano molto i social, da TikTok a Instagram fino a Snapchat. Il selfie non è qualcosa di banale perché rivela come i nostri ragazzi si vedono e soprattutto se hanno autostima di sé stessi, se riescono ad accettare le piccole imperfezioni e i difetti. Quando questo non avviene, spesso, rischiano di cadere nell’ansia e nella depressione.
Qualche tempo fa la figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, Auro-ra, classe 1996, ha raccontato sui social i suoi problemi con l’acne, malattia cronica che colpisce la pelle: “Ho fatto ogni esame possibile immaginabile (veramente), smesso di mangiare molti alimenti a cui pensavo di essere intollerante e visto tanti di quegli specialisti da perdere le speranze. Perché combattere con la propria pelle è così: se non l’hai provato non puoi capire quanto sia frustrante non riuscire a trovare la causa. Ogni tentativo è un terno al lotto e, quando va male, una sconfitta da incassare ed elaborare”.
Il suo percorso è stato lunghissimo e spesso ha rischiato di perdere le speranze. Col tempo, però, ha imparato ad accettarsi per quella che è raccontando questo percorso sui social: “Lo stesso specchio ha perso d’importanza non ci combatto più, e quando mi ci imbatto non mi sento di festeggiare per i risultati ottenuti perché ho capito che la pelle ci parla. Al posto di maltrattarla con prodotti che non fanno che peggiorare la situazione e appesantirla con farmaci non necessari, condizionati da ciò che leggiamo e vediamo in giro, va curata, nel vero senso della parola, con costanza, delicatezza e amore. Da lì in poi sarà lei a farci capire quando sta bene o male”.
Com’è, allora, il comportamento da selfie diffuso tra gli adolescenti? In quali comportamenti si traduce? Lo ha studiato il Cussb (Centro universitario di statistica per le scienze biomediche) dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano con una ricerca dal titolo “Satisface”, parola inglese che vuol dire soddisfare, ma allo stesso tempo è l’unione di satis, “abbastanza” in latino, e di “face” che rimanda al viso, protagonista delle interazioni virtuali. La domanda di partenza è chiara: “Sono soddisfatto abbastanza del mio viso?”. Lo studio, patrocinato dal Comune di Milano, è stato condotto su centoventi adolescenti tra i 12 e i 16 anni ma nei prossimi mesi il campione sarà via via allargato perché l’ansia da selfie non è solo (purtroppo) confinata a questa fascia d’età.
Quasi il 50% dei ragazzi manipola le proprie foto
I social più utilizzati dai ragazzi coinvolti nella ricerca sono WhatsApp (92,5%), TikTok (88,3%), Instagram (76,7%) e YouTube (75%). Il 65,9% dei partecipanti ha detto di trascorrere sui social circa quattro ore al giorno, il 37,5%, tra le 2 e le 4 ore. Il tempo sulle piattaforme è fondamentale, secondo gli esperti infatti è direttamente proporzionale alla percezione distorta del proprio corpo. Più si rimane sui social più aumenta l’ansia da aspetto fisico, quella che poi spinge a manipolare gli scatti.
Inoltre, il 49,2% dei ragazzi ha dichiarato di manipolare e cambiare le foto che pubblica sui social utilizzando vari escamotage: il filtro che leviga la pelle, il fianco smussato, gli occhi in evidenza, i denti sbiancati, il brufolo cancellato con un click. Obiettivo: pubblicare immagini sempre più perfette, per eliminare quei dettagli che lo specchio sbatte in faccia ogni mattina.
Le caratteristiche del comportamento da selfie sono tre. Uno, l’ansia da like che spinge i ragazzi a fare prove davanti allo specchio per capire come uscire bene in foto, controllare più volte il proprio aspetto su qualsiasi superficie che può riflettere l’immagine, toccarsi in continuazione i capelli con le dita, cambiare postura ed evitare le luci intense per impedire che vengano notati i dettagli dell’aspetto che non piacciono. Il 22% degli intervistati risponde che lo fa sempre/spesso, il 12% qualche volta, il 66% raramente/ mai.
Due: il notevole numero di scatti prima di avere la foto considerata giusta da postare che per i ragazzi vuol dire comunicare con chi sono, cosa sto facendo e dove sono. Il 18% degli intervistati non fa selfie, ma tra gli altri il 37% ne scatta da 2 a 5 prima di ottenere quello che pubblicherà, l’11% da 5 a 10 e un altro 11% più di 10. Solo il 23% è soddisfatto al primo colpo. Terzo: l’uso massiccio di filtri che modificano l’immagine.
Solo il 25,4% dei ragazzi che hanno partecipato allo studio è soddisfatto al primo scatto, il 36,8% elimina più o meno dai due ai cinque selfie prima di trovare quello giusto. Quello che poi viene manipolato attraverso i filtri. Spesso alterano le caratteristiche fisiche per cancellare i difetti, a volte vengono usati anche i filtri interattivi divertenti. Il problema è che ritoccando le immagini si perde la consapevolezza del proprio corpo e il controllo della propria immagine, questo scollamento tra lo specchio e il profilo social, soprattutto nell’età adolescenziale potrebbe innescare anche stati di depressione e ansia tra i ragazzi.
I ricercatori hanno messo in luce il meccanismo perverso che intercorre tra uso dei social e insoddisfazione personale. In pratica, più siamo sui social, meno ci accettiamo. “I ragazzi che usano i social per più di quattro ore al giorno, ossia uno su tre di quelli intervistati (34,2%), hanno punteggi significativamente più alti nelle scale che misurano il grado di manipolazione fotografica, il controllo della propria immagine in foto e il livello di ansia da aspetto – spiega Chiara Brombin, professore associato di Statistica e coordinatrice dello studio – in parallelo diminuisce in modo considerevole l’autostima nei confronti del proprio corpo”. Brombin sottolinea anche “il notevole interesse dimostrato da studenti e docenti su un tema così complesso come quello dell’uso delle tecnologie digitali e il rapporto con la propria immagine. Interesse percepibile anche nei genitori, forse i più in difficoltà nel seguire le conseguenze della rapida evoluzione dei meccanismi psicologici generati dall’uso del digitale sui propri figli. Il progetto ha una finalità scientifica con immediate ricadute ‘pratiche’: promuovere il benessere digitale negli adolescenti e sensibilizzarli rispetto ai potenziali rischi della manipolazione e mistificazione del sé digitale”.
Un altro aspetto importante è che la possibilità di manipolare e utilizzare filtri per le proprie foto instilla l’illusione che si possa inseguire una perfezione che, nella realtà, non esiste e non potrà mai esistere: “Poter facilmente modificare la propria immagine rischia di aumentare la non accettazione della propria immagine facciale”, sottolineano Clelia Di Serio, direttore del Cussb, e Antonio Nizzoli, docente di Comunicazione mediatica. “Nelle foto mi vedo in un modo, mentre lo specchio riflette un’altra immagine che non mi piace: ciò può produrre disturbi psicologici importanti scatenati dalla scarsa autostima”.
Per questo, diventa fondamentale l’intervento della scuola e dei genitori perché educhino anzitutto ad avere consapevolezza del mezzo: “I social non sono da demonizzare tout court, se un ragazzo è abbandonato a sé stesso per ore, posta foto in cui cerca di assomigliare ai suoi idoli, in questo confronto serrato possono nascere dei disagi – sottolinea ancora Nizzoli – qui il ruolo della famiglia è fondamentale, bisogna usarlo con consapevolezza nel modo giusto”.
Un altro aspetto evidenziato dallo studio è che, in alcuni casi, modificare la propria immagine ha anche un effetto ludico, creativo, giocoso, che non ha nulla a che vedere con l’ansia della perfezione: “Quello che sarà importante capire, andando avanti nello studio, è quanto questa manipolazione possa essere giocosa, come nei filtri di Snapchat dove si trasformano ad esempio in cagnolini, e quanto sia invece legato alla difficoltà dell’accettazione dell’immagine di sé”, commenta la psicologa Chiara Ferrero del comitato scientifico del progetto.