L’ALPINO MIRACOLATO NELL’INFERNO RUSSO
Quest’anno la tradizionale festa degli alpini presso il santuario di San Gabriele è stata prima spostata, poi celebrata in forma ridotta a motivo della normativa anti Coronavirus. A ricordare gli eroici militi del battaglione L’Aquila ci sono solo gli alpini della sezione Abruzzo e tra loro l’unico testimone oculare di quella drammatica vicenda.
Valentino Di Franco, 98 anni, è nato a San Pietro di Isola del Gran Sasso. Nel 1942, appena diciannovenne, viene arruolato nel corpo degli Alpini e catapultato nella campagna di Russia, nella valle di Selenyj-Jar, punto strategico verso il Don.
Nonostante l’età Valentino ha ancora una memoria vivida dell’esperienza vissuta al fronte, in quella che i libri di storia definiscono il “Quadrivio insanguinato”, ma che lui chiama “La valle della morte” e “La valle dell’inferno”.
Il suo desiderio di raccontare l’impresa eroica del battaglione L’Aquila non è dettato da orgoglio, quanto dalla volontà di offrire ai giovani la sua testimonianza di che cosa sia la guerra.
“Se oggi i giovani non conoscono il significato della parola guerra – dice Valentino – è anche per merito della generazione dei loro nonni che si sono battuti per garantire loro un futuro di prosperità e di pace. Un periodo che dura ormai da 77 anni”.
E infatti nessuno conosce la guerra solo per averne sentito racconti o letto storie. Valentino stesso, in una precedente intervista aveva detto: “Partimmo senza pensare alla guerra. La guerra è venuta dopo”.
Oggi ci racconta due episodi accaduti nella settimana a ridosso del Natale 1942.
“Il ricordo più terribile – ci dice mentre con una mano asciuga qualche lacrima e la voce è rotta dall’emozione – è quello della mattina del 20 dicembre 1942. Un aereo tedesco ci ha bombardati. Ero con tre commilitoni, sentii arrivare gli aerei, le bombe cadere e d’istinto invocai la protezione della Madonna e di san Gabriele. Al termine di quell’inferno uno morì mentre gli altri due rimasero feriti e gravemente mutilati. Io, invece, restai illeso: un vero miracolo!”.
Alcuni giorni dopo, il 27 dicembre, raggiunse un campo improvvisato dove venne assistito e nutrito interrompendo così un digiuno che durava ormai da 5 giorni. “In quella circostanza – racconta Valentino – feci gli ultimi passi con le mie gambe”. Chiamato a passare la visita, non riuscì a togliersi gli scarponi… Erano tutt’uno con i piedi. Giorni di marcia, a 40 gradi sotto zero, li avevano resi una cosa sola. Per toglierli sono costretti a tagliarli. E quando finalmente tolgono l’ultimo brandello di scarpone, i piedi sono insensibili a causa del ghiaccio e gli vengono amputati. Viene rimandato in Italia e torna al suo paese dove la sua fidanzata, nel vederlo mutilato, decide di lasciarlo perché un uomo invalido non sarebbe stato certo un buon partito.
Nell’aprile del 1944 una sventagliata di mitraglia annuncia la presenza dei tedeschi a San Pietro di Isola del Gran Sasso. Stanno cercando un partigiano che, guarda caso, è nascosto proprio in casa sua. Dopo l’arresto i tedeschi vogliono interrogare anche Valentino che, “grande mutilato”, si presenta davanti ai tedeschi retto da due stampelle e due protesi di legno.
Il capitano tedesco, vedendo quanto soffrisse nello stare in piedi, gli domanda cosa gli fosse accaduto e lui gli racconta l’inferno russo. A quel punto il capitano lo saluta come si fa con un eroe e comanda al trombettiere di suonare la ritirata. Davanti al muro della chiesa, gli uomini erano pronti per l’esecuzione. Valentino, però, era riuscito a salvargli la vita.
Oggi è un testimone dell’amore alla patria, del valore della vita, della preziosità della pace. Ai giovani raccomanda di amare la patria, il tricolore e la memoria dei loro nonni che per questo, in molti casi, hanno dato la vita. Ma rivolgendosi ai politici e a chi governa il nostro Paese chiede di “pensare ai poveri”.
Valentino, un uomo, un testimone, un eroe, un alpino!