L’ALBA DEI TRANSISTOR
Cosa pulsa nel cuore di un pc? E di uno smart? Era il 1947 quando per opera di alcuni ingegneri le vecchie valvole termoioniche iniziarono a essere soprassate da un’invenzione che avrebbe fatto storia: il transistor. I più anziani si ricorderanno del passaggio epocale in cui le grandi radio fisse, da salotto, furono gradualmente sostituite con quelle trasportabili se non tascabili: queste ultime si potevano alimentare con le pile ed essere ascoltate direttamente con le cuffie invece di grandi e pesanti altoparlanti.
Ma il dispositivo che più usufruì della nuova tecnologia fu il computer, se così vogliamo chiamare i primi prototipi che occupavano intere stanze e che eseguivano i lori calcoli leggendo i numeri non da una tastiera ma da una lunga striscia di carta perforata. Questi grandi “mostri” degli anni 40 e 50 erano delle vere e proprie idrovore di corrente elettriche. L’Eniac, considerato uno degli antesignani nel campo, assorbiva l’equivalente di un centinaio di utenze domestiche e richiedeva circa 20mila valvole per il suo funzionamento (più un discreto numero di scorta giornaliero per rimpiazzare quelle che saltavano per il troppo calore).
Il nuovo e piccolo, anzi piccolissimo transistor permise la rivoluzione. Dal calcolatore per fini militari o per ricerca scientifica, ospitato in stanze e armadi, ad un calcolatore personale con tastiera e monitor. I PC diventavano il nuovo standard, e al loro cuore comparivano microprocessori sempre più sofisticati. E qui i numeri contano e dicono tutta la celerità di un mercato che in costante evoluzione.
Nel 1971 Intel produsse il suo processore 4004, il primo a 4 bit basato su un circuito integrato con circa 2000 transistor. E questo non era che l’inizio dell’avverarsi della legge di Moore, enunciata già nel 1965: la promessa che ogni 18-24 mesi il numero dei transistor stipati nel piccolo chip sarebbe raddoppiato. E così è successo fino ai giorni nostri. Quell’iniziale migliaio è diventato più di un milione con il glorioso 486 e il rivoluzionario Pentium già tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90. Quel milione sorpassò il miliardo nei processori server Itanium e nei processori di fascia alta degli anni ’10 del nuovo secolo.
E adesso? È significativo il fatto che quando nel 2002 mi laureai in ingegneria la mia specializzazione si chiamava microelettronica. A quel tempo il transistor più evoluto (e dunque più piccolo) che si potesse produrre era ancora misurato in un paio di decimi di micron (e il micron è … la millesima parte del millimetro!). Ma anche qui il tempo ha esasperato le scale di grandezza. Oggi nel microprocessore (non più solo CPU, ma quasi una AI-CPU, cpu con intelligenza artificiale, transistor 3d, architettura multicore eccetera) dei nuovi smartphone top di gamma, siamo arrivati a 7-10 nanometri di grandezza (praticamente la dimensione di qualche atomo), tanto che i nuovi laureati non sono più micro, ma nanoelettronici! E nello spazio di un francobollo (un cm di lato) si possono compattare qualcosa come dieci miliardi di minuscoli transistor.
Che cosa ci riserva il futuro? L’epoca d’oro del transistor sembra ormai passata, anzi se ne intravede già la fine. Infatti la fisica ci dice che non è più possibile rimpicciolire oltre le dimensioni del nostro caro amato 70enne hitech. Il confine previsto è di 3-5 nm dopo di che i processi produttivi non saranno sufficientemente accurati e le sfide energetiche saranno proibitive per rimpicciolire ulteriormente.
Dunque? Sarà l’inizio di una nuova era, in cui un innovativo approccio permetterà di eseguire milioni o miliardi di operazioni istantaneamente con una più esotica unità di misura: non più il bit ma il qubit, non più i transistor ma il computer quantistico. Ma nuovamente all’opera nelle mani della più esotica delle creature: l’uomo.