Non si può essere stanchi di vivere a ventun anni… La depressione giovanile è stata definita la malattia del secolo, una vera e propria emergenza sociale alla quale, però, non ci si può e non ci si deve abituare…
Non si può morire a ventun anni. Non si può essere stanchi della vita a ventun anni. La depressione giovanile è stata definita la malattia del secolo, una vera e propria emergenza sociale alla quale, però, non ci si può e non ci si deve abituare… La vita è un regalo incredibile che apriamo ogni mattina, di conseguenza va amata e vissuta sino all’ultimo istante. Studi specifici ed esperti parlano di quasi 4 milioni di persone, in Italia, prigioniere di questa “bestia maledetta”…, mentre in Europa il numero sale oltre i 35 milioni. Ovviamente le cifre in questione raccontano solo la punta dell’iceberg, cioè quelle persone che hanno scelto di farsi aiutare vincendo ogni paura. Tanti altri, invece, imprigionati da pregiudizi e paure mascherano il proprio disagio scegliendo di vivere da soli nell’oscurità di un’esistenza che, quotidianamente, appare loro sempre più arida e priva di interessi. Maturando, a poco a poco, la convinzione che non ci sia più nulla per cui valga la pena vivere…
Camilla (il nome è di fantasia) aveva tutto per sorridere alla vita: era bella, capace, simpatica, generosa. Non aveva nessuna difficoltà a integrarsi nelle varie compagnie, i suoi occhi testimoniavano un gran cuore nonostante l’irrequietezza propria dell’adolescenza. Adolescenza che per tutti rappresenta un’esperienza inevitabile, disseminata di buche e ostacoli, ma utile a liberare la vera vita interiore. Ma se ciò non accade il rischio è quello di una perenne insoddisfazione che porta a fuggire ogni contatto reale con la quotidianità. E magari condurci lungo strade che promettono la felicità, ma che di fatto ci spalancano l’abisso… Forse Camilla nel suo percorso qualche “contrattempo” lo avrà avuto, qualche errore avrà rallentato il suo cammino di crescita, ma chi di noi può scagliare la prima pietra…? Nonostante questo, però, non era immaginabile pensarla nel buio della disperazione, che percepisse la vita come un qualcosa di ostile, di insopportabile. Quel senso di oppressione soffocante che prima ti ruba l’anima e poi la vita…
Dinanzi a una morte così, dunque, sono tante le domande angoscianti, i rimorsi, i sensi di colpa o veri e propri macigni che scuotono le coscienze. Penso ai famigliari, lacerati nel cuore e nella mente da un dolore senza pari; agli amici, quelli veri e quelli meno “autentici”; agli insegnanti i quali hanno condiviso un importante tratto di vita; alla società che a volte, ahinoi, trova più comodo volgere lo sguardo lontano dalle fragilità altrui…
Ma quanto è difficile, nessuno escluso, interagire a livello emotivo con la depressione? E quanto è facile, invece, scegliere la via più semplice, quella dell’indifferenza? Lungi da me dare giudizi, non è il mio compito, né la mia prerogativa, ci mancherebbe. Dico solo che l’amore, quello che non fa calcoli e che non vive di convenienze, dovrebbe muovere ogni nostra azione quotidiana. Donarlo senza aspettarsi nulla in cambio, soprattutto se chi ci sta di fronte non è in grado di ricambiarlo. È vero, la depressione, come anche altre patologie subdole, ha come obiettivo l’annullamento della persona, a volte però è il nostro distacco a cancellarla definitivamente… E come se noi adulti restassimo accecati dall’invidia nel guardare i giovani che hanno davanti un’intera vita di promesse e progetti luminosi… E quindi non ci accorgiamo che a volte, invece, sono vittime di una solitudine che li distrugge dentro. E che quel futuro così verde e luccicante ai loro occhi appare solo come un’amara illusione, un tunnel buio senza via d’uscita… Da adulto e da genitore vorrei che ci fosse sempre il giusto equilibrio nel giudicarli, nel relazionarci, nel non considerarli più maturi e sicuri di quanto sembrano, ma nemmeno trattarli da perenni bambini… E in questa direzione credo sia fondamentale, per tutti, parlare il linguaggio dell’amore, quello che ci fa assaporare il vero profumo della vita. Solo attraverso il contatto con l’altro, sia esso un figlio, un parente, un amico, un semplice conoscente, riusciamo a far emergere tutti i “mali” dell’anima che hanno bisogno di essere riconosciuti per essere guariti…
Io ne sono certo: adesso Camilla starà godendo dell’immenso amore gratuito di Dio, un amore sconfinato. Quello di cui spesso ci meravigliamo, ma che ci viene donato ogni giorno. E che ha messo dentro ognuno di noi.
Ciao Camilla, tu che ora hai abbandonato l’oscurità e vivi nella luce eterna, perdona le nostre fragilità e aiuta ad accogliere il dolore a chi ti ha amata e conosciuta.