la speranza di FRANCESCO
Al centro, la speranza che cambia l’animo degli uomini e accoglie i frammenti di vita. È questo il tema centrale del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia che si svolge in questi giorni in Vaticano. Sinodo seguitissimo dai media, anche laici, che vedono nell’assise uno scontro di posizioni tra l’ala riformatrice vicina a papa Francesco e l’ala conservatrice raccolta intorno a una parte della curia resistente a ogni tipo di cambiamento. Questo, almeno, pensano i media. Dimenticando però l’iter che ha portato a questo sinodo e la complessità teologica e pastorale che sta dietro ciò. Non si riparte da zero, infatti. I padri sondali che stanno discutendo di pastorale della famiglia hanno tra le mani l’Instrumentum laboris, che riporta integralmente tutti i paragrafi della Relatio synodi del 2014, inclusi i numeri 52, 53 e 55, i più discussi e i meno votati all’unanimità, relativi all’accostamento dei divorziati risposati all’eucaristia, alla proposta della comunione spirituale e alle unioni omosessuali.
Una Relatio synodi che ribadisce l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, mettendone in risalto gli aspetti positivi, ma che indica la necessità di guardare con pazienza e misericordia alle famiglie ferite. Mentre per le unioni omosessuali si ribadisce che non sono paragonabili al matrimonio tra uomo e donna, ma che hanno il diritto di essere guardati, da chi si professa cristiano, con delicatezza e attenzione.
Il punto più ambito di discussione è ovviamente quello che riguarda le “attuali” forme di esclusione liturgico-pastorali dei divorziati risposati. Riguardo, in particolare, ai divorziati risposati si sottolinea che “vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, educativo e caritativo” perché questi fedeli non sono fuori dalla chiesa: e quindi, sulla “opportunità di far cadere queste esclusioni”. Sull’accostamento all’eucaristia per i divorziati risposati, l’Instrumentum evidenzia il comune accordo sull’ipotesi di una via penitenziale sotto l’autorità di un vescovo, basata sul pentimento, sulla verifica dell’eventuale nullità del matrimonio e sulla decisione di vivere in continenza. In relazione alla comunione spirituale si ricorda che “essa presuppone la conversione e lo stato di grazia ed è connessa con la comunione sacramentale”.
Papa Francesco, bisogna ricordarlo, insiste molto sul tema della misericordia e dell’accoglienza. E questo sinodo non potrà dimenticarsene. Durante le udienze generali del mercoledì dopo la pausa di luglio, proseguendo il ciclo di catechesi che aveva deciso di dedicare al tema della famiglia, è stato chiaro: è necessaria, ha detto, “una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale” e “queste persone non sono affatto scomunicate – non sono scomunicate! – e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della chiesa”. E ancora: “Dopo aver parlato, l’ultima volta, delle famiglie ferite a causa della incomprensione dei coniugi, oggi vorrei fermare la nostra attenzione su un’altra realtà: come prenderci cura di coloro che, in seguito all’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una nuova unione. La chiesa sa bene che una tale situazione contraddice il sacramento cristiano. Tuttavia il suo sguardo di maestra attinge sempre da un cuore di madre; un cuore che, animato dallo Spirito Santo, cerca sempre il bene e la salvezza delle persone. Ecco perché sente il dovere, per amore della verità, di ben discernere le situazioni. Così si esprimeva san Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, portando ad esempio la differenza tra chi ha subito la separazione rispetto a chi l’ha provocata. Si deve fare questo discernimento”.
Niente porte chiuse, dunque. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità. La chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
A qualcuno questa posizione non va giù. Quasi mezzo milione di cattolici hanno infatti firmato una petizione per implorare papa Francesco affinché condanni le unioni omosessuali (perché innaturali) ed escluda in maniera definitiva che si possa consentire ai divorziati che si risposano di ricevere la comunione. Il Filial Appeal on the Future of the Family, lanciato da un gruppo che si definisce come un gruppo di cattolici attivisti e organizzazioni a favore della vita, ha il sostegno anche di un centinaio di prelati, tra i quali alcuni vescovi di paesi in via di sviluppo e il cardinale americano super conservatore Raymond Burke. La petizione sostiene che il sinodo che si è tenuto lo scorso anno ha scatenato “una notevole confusione adombrando la possibilità che sia stata aperta una breccia all’interno della chiesa che accetterebbe l’adulterio, permettendo ai divorziati e poi ai cattolici risposati civilmente di ricevere la comunione; e di fatto accetterebbe anche le unioni omosessuali, quando tali pratiche sono categoricamente condannate come contrarie alla legge divina e naturale”.
Su queste basi, anche dialettiche, va a “contarsi” il sinodo sulla famiglia che sta svolgendosi in Vaticano. In gioco non c’è solo una visione manichea tra “chi sta con papa Francesco e chi non”, ma c’è in ballo il “come” la chiesa universale sappia dialogare con l’uomo di oggi, alla luce del vangelo.
Un vangelo che, secondo i desiderata di Francesco, non vuole escludere, allontanare o punire. Semmai cercare di essere luce nella strada buia di un’umanità che prosegue il suo cammino in cerca di Dio.