LA SITUAZIONE DIFFICILE

Mentre andiamo in stampa, dopo l’ambigua “soluzione” del-la questione Imu, stanno giungendo alla stretta finale questioni vitali per il paese e per le istituzioni, per di più in una cupa situazione internazionale. Sono questioni condizionate soprattutto dalla possibilità di vita (ma creativa e dinamica) del governo Letta, minacciato dai rapporti tesi tra Pdl e Pd a causa della sentenza della Cassazione che ha reso possibile la decadenza da senatore di Berlusconi, gli ha preclusa la possibilità di ricandidarsi, e gli ha posto limiti di fatto, alla guida del partito, prevedendo per lui un periodo di arresti domiciliari o l’assegnazione a “servizi sociali”. Tali questioni, che potrebbero essere compromesse dalla caduta o dalla inefficienza di questo o di altro governo riguardano gli interventi per ridurre l’ormai insostenibile carico fiscale su famiglie e imprese; far calare i livelli allarmanti della disoccupazione; favorire gli investimenti esteri nelle nostre strutture produttive; lo sblocco e l’aumento delle risorse per le grandi opere, risorse e procedure per far ripartire l’edilizia e per gli investimenti sociali e produttivi dei comuni. In parallelo, la caduta del governo, o uno nuovo debole, comprometterebbero indilazionabili misure volte a combattere gli sprechi scandalosi in molti comparti della spesa pubblica (a cominciare dalla sanità); a contrastare l’evasione fiscale; a mettere fine al finanziamento pubblico ai partiti; a sopprimere la pletora di enti e di organismi comunali, provinciali, territoriali, regionali e nazionali il cui costo non  è giustificato da alcun reale vantaggio per i cittadini.

Comunque, se è ancora possibile fare più ipotesi sugli sbocchi della situazione parlamentare e di governo creata dalla sentenza della Cassazione nei riguardi di Berlusconi, è certo che i suoi effetti hanno confermato e sottolineato lo stato di confusione e di debolezza che domina la vita dei partiti e in particolare del Pdl e del Pd. Il Pdl appare incapace di vita propria senza le decisioni e gli impulsi del suo fondatore. Questi poi, di fronte alla situazione creata per lui dalla sentenza della Cassazione, è combattuto tra la tentazione di ricorrere a ogni mezzo per andare prima possibile a elezione anticipate, e la speranza di sfruttare la difficile situazione economica sociale e parlamentare per riuscire a ottenere la cancellazione o l’attenuazione degli effetti politici della sentenza della Cassazione sulla sua persona:  attraverso vie parlamentari o con interventi della Corte costituzionale o del capo dello stato. Questo del Pdl è comunque, uno stato di cose che esprime la crisi, forse irreversibile, del tentativo avviato nel 1993 da Berlusconi di creare una nuova forza politica dei moderati italiani dopo la fine della Dc e dei partiti di democrazia laica e socialista.

I quadri dirigenti del Pd, invece, (salvo qualche posizione personale) appaiono compatti nel rifiuto di prendere o di condividere iniziative che assicurino la “agibilità politica” a Berlusconi. Ma lo sono perché convinti che un loro diverso (o anche solo più problematico) atteggiamento provocherebbe reazioni incontrollabili in larghi settori della base del partito, sottoposta a continue e pesanti pressioni “da sinistra” di Repubblica, de Il Fatto, di Vendola e di Grillo decisi a usare la sentenza della Cassazione per mettere fine immediatamente all’era Berlusconi. Ma nello stesso tempo il Pd è profondamente diviso sui suoi riferimenti ideali e culturali, sui programmi, sulle alleanze, sulle procedure per darsi una dirigenza e una organizzazione autorevoli ed efficienti.

Tenuto conto della pratica nullità del “centro” di Monti e di Casini, la provata demagogia e l’avventurismo di Grillo, il vuoto “a narrare politica” di Vendola questo descritto non è un quadro confortante; ma, purtroppo, è vero, senza forzature.