LA SECONDA VITA DI “DON FRANCHINO”…

Trentasette giorni in rianimazione e poi la luce
By Gino Consorti
Pubblicato il 4 Luglio 2020

Il titolare di una famosa pizzeria-gourmet abruzzese racconta in esclusiva il suo calvario dopo aver contratto il Coronavirus. “È stato sicuramente un miracolo di san Gabriele a tenermi in vita, più di una volta sono stato vicino all’aldilà… Non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia”

Trentasette giorni in rianimazione attaccato al ventilatore meccanico attraverso un tubo tracheale. Un tempo infinito, soprattutto per i famigliari costretti a vivere lo scorrere dei giorni con il cellulare tra le mani in attesa della comunicazione quotidiana dei medici. Una sorta di montagne russe dove angoscia e speranza si rincorrevano in un saliscendi logorante… Sì, perché il Covid-19 è proprio questo, un mostro particolarmente subdolo che si prende gioco della vita, muta la sua faccia con una rapidità spaventosa e con conseguenze spesso devastanti.

Quella che vi raccontiamo è l’esperienza vissuta da Franco Cardelli, 53 anni, titolare della famosa e apprezzata pizzeria-gourmet Don Franchino, situata a Castelnuovo Vomano, in provincia di Teramo. Da ragazzo ha frequentato il seminario ma quel percorso interiore non è sfociato nella vita consacrata. Il suo cammino si è indirizzato lungo un’altra strada, rimanendo però saldamente legato ai valori e agli insegnamenti cristiani. Da qui il nome della sua attività che rappresenta una sorta di “istituzione” culinaria, un vero must per gli amanti della pizza che arrivano anche da fuori regione.

La storia, fortunatamente è di quelle a lieto fine, anche se i segni, soprattutto quelli dell’anima, resteranno indelebili per lui e per la sua famiglia. Attualmente è ricoverato nell’istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena (Macerata), una struttura di livello nel campo della riabilitazione. I segni fisici lasciati dalla prolungata immobilizzazione sono stati pesanti, il tono muscolare ne è uscito malconcio influendo inevitabilmente sulla capacità di compiere movimenti. Braccia, busto e gambe come fossero paralizzati… Una situazione delicata che necessita di un lungo periodo riabilitativo. È qui dallo scorso 13 maggio e di progressi ne ha fatti parecchi. E poi in questi casi il desiderio di riabbracciare la famiglia rappresenta la migliore medicina… Il processo di riabilitazione è iniziato dagli arti superiori per poi rinforzare bacino e gambe. “Qui sono veramente all’avanguardia – sottolinea al telefono Franco Cardelli – ogni cosa è curata nei minimi particolari. Dicono che dovrò restare come ospite almeno sino ad agosto, spero però di smentirli, intanto ho iniziato a camminare con il girello… Lo so, devo avere pazienza, faccio due ore di terapia al giorno e alla sera arrivo in camera sfinito… All’inizio avevo le gambe che sembravano dei fusi, ora invece pian piano iniziano a riprendere forma. Tra l’altro qui si mangia proprio bene…, la mia è una dieta ricca di proteine e vitamine”.

Ma facciamo un salto all’indietro spostando le lancette al pomeriggio del 18 marzo. “Mi sentivo addosso i sintomi dell’influenza – racconta – non avevo febbre ma una tosse fastidiosa. Su insistenza dei miei famigliari ho contattato il medico di famiglia, il dottor Graziano Rampa, che per sicurezza mi ha consigliato di fare una radiografia in ospedale”. Una volta giunto al “Mazzini” di Teramo, accompagnato dalla moglie, quello che doveva essere un semplice controllo si è trasformato però in un lungo tunnel buio… Passando dalla postazione mobile allestita in un’aerea esterna dell’ospedale, ha fatto la radiografia e l’emogasanalisi per controllare la quantità di ossigeno e di anidride carbonica presente nel sangue. “Successivamente, sulla scorta dei referti che evidenziavano una polmonite e una carenza di ossigenazione, hanno deciso di ricoverarmi per sottopormi a un controllo più approfondito. Così, dopo due ore di attesa, a bordo di un’ambulanza mi hanno trasportato nel reparto di malattie infettive. Avendo difficoltà a respirare mi hanno subito messo una maschera per l’ossigeno. Nonostante ciò, però, seguitavo ad avere grossi problemi, addirittura sembrava andasse peggio…”. E arriviamo alla fine dei ricordi di Franco Cardelli, prima del lungo periodo trascorso in rianimazione. “A quel punto i medici mi hanno detto che avrebbero dovuto intubarmi affidando il mio respiro alla macchina…”.

Nel corso della vita Franco ha sempre disertato ospedali e medici… “Solitamente quando ho qualche acciacco non vado mai dal medico, cerco i rimedi in farmacia… Ovvia-mente parlo di malesseri lievi legati all’influenza o a stati di raffreddamento. Anche questa volta credevo di potermela cavare con poco… Alla luce di quanto è venuto fuori, però, devo dire grazie al mio medico che ha insistito affinché andassi in ospedale. Vista l’evoluzione, infatti, probabilmente sarei morto soffocato a casa…”. In effetti aveva i polmoni fortemente compromessi dalla polmonite causata dal Coronavirus. E magari anche la polvere della farina, con la quale convive quotidianamente da tanti anni, avrà probabilmente peggiorato il quadro…

Da quel giorno non ha avuto più contatti fisici con i suoi famigliari: la moglie Gabriella l’ha vista solo due volte dall’alto di una finestra nel centro di riabilitazione, mentre i figli Maria, Maurizio e Marco solo attraverso lo smartphone. “I medici mi hanno svegliato il 24 aprile, è stato uno shock incredibile, anche perché mi ricordavo il ricovero del 18 marzo… Il mio pensiero è andato immediatamente ai miei cari, a quanta sofferenza e ansia gli avevo causato in tutti quei giorni… È stato sicuramente un miracolo di san Gabriele a tenermi in vita, in famiglia siamo tutti suoi devoti. Credo inoltre che anche le preghiere di mia madre Giuseppina e di mio fratello Maurizio, scomparsi entrambi lo scorso anno, abbiano contribuito…”. Il suo racconto s’interrompe, la voce è rotta dalla commozione… Il ricordo di chi non c’è più è assai vivo, soprattutto in questo momento così difficile della sua vita. Poi però riprende, ma nella sua mente c’è sempre la famiglia. “A informare quotidianamente i miei erano i medici tramite messaggi e telefonate. Una volta sveglio, invece, hanno inviato qualche video e successivamente, grazie a una tracheotomia meno invasiva, sono riuscito a fare delle brevi videochiamate… Ne approfitto, allora, per ringraziare tutto il reparto di Anestesia e Rianimazione, in particolare i medici Paolo Scimia, Nadia Garbuglia e Riccardo Moretti. Sono stati tutti molto disponibili e professionali”. Medici che nel corso della degenza, hanno dovuto affrontare anche momenti di criticità… “Mi hanno detto che ci sono stati giorni in cui ho sfiorato l’aldilà…, anche perché in un periodo così lungo le insidie sono tante e possono manifestarsi in un attimo”. Proprio in uno di quei giorni l’equipe medica, consultatasi con la figlia Maria che fungeva da “portavoce” della famiglia, ha deciso di trattarlo con i farmaci utilizzati per l’artrite reumatoide, cura sperimentata prima in Cina e successivamente in Italia, con l’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Napoli a fare da capofila. “Era mia figlia a rapportarsi con i medici e con loro aveva parlato di questa cura sperimentale dagli effetti incoraggianti. Dopo quindici giorni di intubazione – prosegue – sono risultato negativo al tampone, ovviamente il problema era lo stato dei polmoni aggrediti dal virus. In totale ho fatto quattro tamponi, tutti negativi, l’ultimo lo scorso 29 maggio”.

Anche lui, come tante vittime del Coronavirus finite in rianimazione, è stato tenuto a pancia in giù, una posizione che sembra favorisca la ventilazione. Ora che il peggio è passato, però, qualche domanda sul contagio Franco se l’è fatta… Le risposte, però, non conducono a nessuna certezza. “In testa ho solo delle ipotesi, anche perché in famiglia nessun’altro ha accusato sintomi. Non voglio causarmi altro male, quindi preferisco non rimuginarci sopra… Presto mi sottoporrò a un esame approfondito, in un centro specializzato, in modo da verificare lo stato dei polmoni e trovare il modo migliore di proteggerli”. In-somma, Franco ha fretta di dimenticare e soprattutto di riabbracciare la sua famiglia che, nel frattempo, non è restata certamente con le braccia conserte. “I miei figli sono stati bravi a organizzarsi per l’asporto adeguando la pizzeria alle nuove norme. Me lo hanno detto due giorni dopo aver iniziato il nuovo servizio…, per me è stata una grande gioia. Adesso, con il locale nuovamente aperto al pubblico, li seguo un po’ nell’organizzazione, sapendo comunque di essere in buone mani”. La preparazione delle pizze è affidata a suo figlio Marco, un giovane di valore formatosi a Dubai alla scuola del famoso chef stellato Heinz Beck. Maria, studentessa universitaria e Maurizio, invece, si occupano con passione e intelligenza della gestione delle sale e del rapporto con i clienti, sotto ovviamente l’attento sguardo della madre…

Tra poco Franco deve recarsi in palestra per la “razione” quotidiana di esercizi. Prima di salutarci, però, chiede di poter ringraziare la grande catena di amici e conoscenti che si è stretta, anche attraverso la preghiera, attorno alla sua famiglia in un momento così difficile. Ora è proprio tutto, anzi, no… Gli preme rivolgere un appello, soprattutto ai giovani. “La vita è sacra e come tale va difesa sino alla fine. Non abbassiamo la guardia nei confronti di un virus che continua a seminare morte e sofferenza. Riappropriamoci della nostra quotidianità ma facciamolo con intelligenza e sempre in grande sicurezza. Nessuno, infatti, deve sentirsi invincibile dinanzi a questo nemico invisibile…”.

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