LA RESA DEGLI ALBERGATORI
Il grafico sulle presenze turistiche nelle Marche è in risalita dopo la discesa in picchiata determinata dalla pandemia nel 2020. I dati in corso non temono neanche il confronto con il 2019 essendo stato quasi recuperato il divario con quell’anno fruttuoso grazie a un 2021 più che positivo, caratterizzato da un settembre dalle uova d’oro come mai si era verificato in passato. In soli trenta giorni, infatti, si è registrato un +15,03% negli arrivi e un +25,79% nelle presenze rispetto al pre-Covid. Nei primi nove mesi dell’anno gli arrivi hanno fatto registrare un +22,67%, pari a 1.776.765 unità e le presenze un +24,92% (8.850.253). La soddisfazione per come si è conclusa la stagione estiva la si è percepita in molte unità alberghiere ed extralberghiere, ma tale andamento non si è rivelato per tutti un toccasana. Per molte unità ricettive, infatti, l’anno appena concluso ha portato alla resa definitiva di quei gestori che da tempo erano afflitti da una crisi latente che le conseguenze del virus hanno solo accentuato. Le Marche dividono questa resa con la confinante Romagna, che conta 350 esercizi sul mercato, tanto che la parola vendesi non è più un tabù anche se, per una questione di riservatezza, le vendite non vengono fatte in modo visibile ma attraverso siti web, quasi si volesse agire pudicamente dopo anni di direzione tramandatasi di padre in figlio, che si sono spesso adoperati per clienti abituali.
Dal punto di vista degli economisti le cause alla base delle pesanti flessioni vi sono le infrastrutture (viabilità e mezzi di trasporto), le politiche istituzionali (si muovono a rilento e spesso in direzioni non coerenti con le necessità del tessuto imprenditoriale), le congiunture, i fattori geopolitici e le strategie che devono puntare al superamento del localismo. Dal punto di vista degli operatori la parola più rilevante è quella riguardante il rinnovamento delle strutture che implicano investimenti per i quali non ci sono i soldi. E non solo per quanto concerne le strutture murarie, ma anche per tutto un corollario di necessità legate alle mutate condizioni del mercato. Innanzitutto, la digitalizzazione. Oggi si va in vacanza consultando i social. Ciò comporta la necessità di formalizzare l’offerta e avere ben chiara la clientela-target e ciò vale pure per le strutture di piccole dimensioni. Seguono la formazione del personale e il ripensamento del modello di business per la commercializzazione degli hotel. La pensioncina familiare, con la padrona di casa a fare la pasta in cucina, non è più una scelta. Le esigenze dei consumatori si sono diversificate e moltiplicate. Il Covid, in sostanza, ne ha accelerato la modernizzazione e il turismo funziona se ha un respiro internazionale. Altri motivi alla base delle vendite: l’intenzione di realizzo, un’operazione prettamente commerciale, l’incapacità gestionale e la mancanza dei presupposti di rendimento.
Nel 2017 – stando ai dati dell’Osservatorio sul turismo delle Marche – le strutture ricettive ammontavano in regione a 4.652, di cui 816 alberghi e 3.836 unità extralberghiere per un totale di 193.348 posti-letto. La maggiore concentrazione si ha nel pesarese con 274 hotel, cui seguono Ancona (213), Ascoli Piceno (174), Macerata (103) e Fermo (52). Solo tre le strutture a cinque stelle presenti. Altro dato interessante è quello degli agriturismi (1.130) secondi solo ai bed&breakfast (1.749). Sui siti BancaDelleCase e Trovarecasa si trova un consistente campionario degli alberghi in cessione, dalla costa all’entroterra. Per chi è attratto dalle aste immobiliari online il blog da consultare è:
www.realestatediscount.it