La (post) verità mi fa male…
Fake news, post-verità: sono due espressioni che dilagano su tutti i media, nei Talk Show, nonché sulla bocca di politici e giornalisti. Fake news significa notizia falsa, più volgarmente bufala. Chissà perché preferiamo l’espressione inglese a quella italiana; forse perché in italiano il significato suona troppo crudo, troppo vero, troppo familiare?
Una fake news non è solo una notizia falsa, una bugia, in parte o in toto, ma è anche vera disinformazione, diffusa deliberatamente con l’intento di trarne un vantaggio politico, economico, d’immagine, propagandistico o anche per gioco. Si vuole indurre in errore il lettore e si accompagna a titoli sensazionalistici, esagerati o palesemente falsi. Produrre bufale è diventato anche un‘industria.
“Post-verità”. “Post” in latino significa “dopo”, ma in questo caso significa “oltre”, al di là: tanto al di là che la verità perde importanza, se ne può fare anche a meno, diventa irrilevante, perché più dei fatti contano le emozioni. Il criterio di riferimento prioritario nelle scelte è l’impatto emotivo non i dati di fatto. Ma è lecito dare il primato alle emozioni piuttosto che ai fatti, alla ragione?
Neologismi a parte, non si tratta di un fenomeno nuovo poiché la verità ha sempre avuto vita difficile su questa terra. La grossa novità sta nella nuova tecnologia digitale che ha moltiplicato i media, cioè i mezzi di comunicazione, e ha fatto esplodere il numero dei comunicatori. Il regno privilegiato, ma non unico, della post-verità sono le Reti sociali. “La politica della post-verità nell’era dei Social Media è l’arte della bugia”, taglia corto il settimanale inglese The Economist.
Le fake news e post verità o bufale che dir si voglia, inquinano l’informazione, e quindi anche la democrazia e l’opinione pubblica di un Paese. Hanno la capacità di influenzare le scelte della gente, anche quelle riguardanti la vita politica ed economica (come ormai è dato per certo nelle campagne politiche legate alla Brexit o alle elezioni americane). Sono il “Veleno delle democrazie”.
Un esempio emblematico. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Colin Powell, il 5 febbraio 2003 all’Onu, presentò “le prove suffragate dai fatti” che il dittatore dell’Iraq, Saddam Hussein, possedeva armi di distruzione di massa e sventolò una boccettina che – disse – conteneva un grammo di antrace capace da solo di produrre grossi danni. Non era vero niente, ma sulla base di quelle “prove” scattò la seconda guerra del Golfo che coinvolse anche l’Italia, ha prodotto morti e distruzione, ha destabilizzato il Medio Oriente e ne paghiamo ancora le conseguenze.
Domande: Come è possibile orientarsi in un’era in cui i fatti perdono importanza a favore delle convinzioni personali? Come mai fatti chiaramente accertati sono meno influenti dell’appello alle emozioni nel formare l’opinione pubblica? Servono ancora i fatti per farsi un’opinione? Che credibilità possiamo dare alle notizie dei giornali cartacei ed elettronici?
Nonostante Google e le Reti sociali tentino di arginare in qualche modo il fenomeno, le bufale in genere rimangono impunite, per cui c’è come una licenza di dire il falso. Ottimi i controllori dei fatti (fact checkers) delle redazioni giornalistiche, che tuttavia non hanno una grande influenza sul popolo delle Reti, in quanto ogni utente vive come in una propria “bolla di filtraggio” per cui fa comunità e dialoga solo con chi la pensa come lui; e poiché ognuno è “profilato” dai motori di ricerca è “servito” dalla Rete praticamente solo con quello che rientra nei suoi interessi.
Per riflettere. Uno studente si è finto medico e con falso nome (Marco Staone) ha postato su Youtube un video in cui spara contro i vaccini, definiti inutili e addirittura dannosi (“contengono plutonio”, come le bombe atomiche) e sono frutto di un piano di controllo sulla popolazione. Tutto falso, grossolanamente falso, ma la gente ci crede, centinaia di migliaia le visualizzazioni. L’autore: “Le ho sparate grosse per rendere le persone coscienti della loro superficialità nel bersi le notizie false. Voglio vaccinare la gente contro le false notizie”. Avvelenatore di pozzi o profeta? E’ vero, siamo tutti creduloni, soprattutto quando cerchiamo conferma a quello che pensiamo. Saperlo è già una difesa. Tuttavia mai dimenticare l’ammonimento di Gesù: “Ma il vostro parlare sia: ‘Sì, sì; no, no’; poiché il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).