LA PACE È LA VERA NOTIZIA

Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 1 Maggio 2018

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio

Fake news. O notizie vere, giuste. Sta a noi scegliere. Si sofferma su questi temi il Messaggio di papa Francesco per la 52ma Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace”. Quest’anno la Giornata si celebra domenica 13 maggio 2018, solennità dell’Ascensione del Signore.

Nel messaggio, divulgato lo scorso 24 gennaio in onore di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, papa Francesco non va per il sottile e offre a tutto il mondo dei mass media, ma anche ai semplici fruitori del pianeta notizie, parole e concetti che vanno al nocciolo del problema. Negli ultimi tempi, infatti, il dibattito si è spostato proprio sulle famose fake news, le notizie false, che attraverso il modo dei social web riescono a cambiare non solo l’informazione, ma anche la realtà stessa delle cose.

L’invito del pontefice non è certamente rivolto a incentivare un’informazione buonista quanto piuttosto a riconoscere che, poiché “solo la verità rende liberi”, un primo passo importante può essere quello di riconoscere che il dilagare dei contenuti infondati assume l’andamento di una spirale che si alimenta di emozioni negative innescate dalla spettacolarizzazione del dramma e legittimate o rafforzate da un uso scorretto dei media.

Come dobbiamo comportarci di fronte alle fake news, alle informazioni infondate su fatti inesistenti, distorti, manipolati?

Il primo approccio consiste nel riconoscere che la lotta alla disinformazione, fondandosi intrinsecamente sulla ricerca della verità, implica lo svelamento del pregiudizio, il superamento dello stereotipo, ponendo le basi per una relazione rinnovata.

La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news, spiega Francesco, è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. “L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità”.

Come possiamo riconoscere, allora, la falsità? “Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento”.

Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

Come dunque difenderci, si chiede Francesco? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. La verità ha a che fare con la vita intera. “Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente”.

La pace è la vera notizia. E il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, allora il giornalista non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha  il compito di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone.

In questo senso ha avuto una notevole eco sui giornali, lo scorso mese di marzo, la vicenda della lettera di Benedetto XVI, pur riservata e personale, fatta conoscere ai giornalisti nella sua completa interezza in un intervallo di tempo di due giorni. La lettera, come i lettori ricorderanno, era una risposta a una richiesta da parte di monsignor Dario Viganò, allora ancora Prefetto della segretaria per la Comunicazione della Santa Sede, di scrivere una recensione a 11 volumi che alcuni studiosi avevano dedicato alla teologia di Francesco. Recensione che il papa emerito aveva negato per impedimenti fisici e intellettuali. Una vicenda che ha avuto una gestione tecnica della comunicazione non virtuosa (da parte di tutti, compresi i giornalisti che hanno lucrato sull’intera vicenda) e che ha portato alle dimissioni del Prefetto Viganò.

La lezione è per tutti. Il vero giornalismo di pace non ha paura della verità ma si fonda anche sul presupposto che chi fa notizia lo fa in buona fede, e ne conosce i limiti. Un giornalista serio è colui che sa trasmettere la “buona notizia” avendo sempre al primo punto il rispetto dell’altro.

 

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