LA NOSTRA FRAGILITA’
A Parigi nella primavera del 1794 non si parlava d’altro. Era cominciata da qualche mese la stagione del “terrore” e la ghigliottina mieteva teste a migliaia e in ogni famiglia era subentrata la paura: non criticare la rivoluzione, tacere sempre per salvare la vita. E nel 1929 quando divampò la “grande depressione” non si parlò d’altro se non di pane e lavoro. E nei primi mesi del 1944, con la guerra che marciva a Montecassino e il fronte bloccato, nelle famiglie italiane, strette fa paura e miseria, ci fu un solo argomento: quando arrivano gli americani?
Mi sono venute in mente queste date emblematiche perché anche oggi affoghiamo nel dibattito sul Coronavirus. La pandemia ha spazzato via ogni altro argomento e monopolizzato non solo televisione e giornali, ma è dilagata anche nelle discussioni familiari. Mi sono trovato nella stessa giornata in due case diverse (con mascherina) e non sono sfuggito alla domanda quasi ossessiva: che ne pensi, che credi, dove andiamo, quando arriverà il vaccino, è tutto vero quello che si legge?
Solo di sfuggita, come un’eco lontana, ho sentito un altro tema, apparso e dimenticato e che mi pare racchiuda una lezione che chiamerei metafisica se mi perdonate – almeno per una volta – questa parola difficile.
Viviamo in un’era tecnologica dove ogni obiettivo sembra raggiungibile. Siamo andati sulla Luna, andremo su Marte, andremo su altri pianeti, viaggeremo nell’universo più lontano, forse scopriremo, prima o poi, l’origine dei buchi neri. La medicina fisserà sempre più avanti le proprie frontiere, verranno trovati nuovi farmaci, nuove tecniche chirurgiche, anche il tumore prima o poi verrà sconfitto, la nostra stessa vita quotidiana sarà rivoluzionata dalle nuove, avveniristiche invenzioni, satelliti sempre più perfetti saranno lanciati nello spazio e nessuno si azzarda a immaginare come potrà essere la nostra terra fra cent’anni perché il progresso diverrà sempre più veloce, sempre più travolgente.
Però c’è qualcosa che, comunque vada, non tramonterà mai perché è connaturata all’uomo ed è una legge universale che nessuna scoperta potrà mai scalfire o annebbiare: la nostra fragilità. Siamo esseri fragili, abbandonati alle leggi di natura, e questa natura per quanto la si indaghi conserverà la sua impenetrabilità come la morte o il destino. È bastata un’epidemia come il Covid a bloccare un pianeta, dal polo Nord al polo Sud, primo e terzo mondo.
Gli antichi, molto meno acculturati di noi, molto meno tecnologici, avevano un rapporto con la natura diverso. Non pensavano di soggiogare la vita, avevano il senso della misura, sapevano che per quanto lontani si fossero piazzati i confini, sempre sarebbe rimasto qualcosa di misterioso, come appunto la pandemia d’oggi che, pur nell’epoca del progresso infinito, ha messo a terra i cinque continenti.
E allora è giusto che si discuta su questo Coronavirus. Che si esamini il problema da tutti i punti di vista. È giusto e comprensibile che nasca la paura per una malattia ignota di cui non si sa come nasce e come muore. È naturale che tutte le famiglie, non solo italiane ma del mondo intero, parlino di questo pericolo che incombe e che minaccia la nostra vita. Ma è anche giusto non dimenticare i limiti nei quali ci muoviamo, il nostro potere e la nostra debolezza. Come diceva Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura, ma è una canna pensante”.