L’Expo di Milano, impegnato a proporre soluzioni su come nutrire in modo sano gli abitanti della Terra nel prossimo futuro, ha messo sotto la lente degli esperti, ritrovatisi in convegno, le filiere agroalimentari indicate dallo scienziato autodidatta marchigiano Mario Pianesi (il fondatore della prima fattoria biologica in Italia) che, a partire dagli anni settanta, ha messo a punto un modello che coniuga ambiente, salute e diritti umani. Una strategia che parte dal recupero degli ecosistemi, dalla certificazione dei prodotti, da un’etichettatura trasparente e dalla qualità. Ingredienti semplici, naturali, sostenibili e, soprattutto, efficaci. Il sistema di etichettatura, in particolare, a cui hanno aderito la provincia di Pesaro e Urbino e 11 comuni dello stesso territorio, garantisce una corretta informazione su origine, qualità e tracciabilità dei prodotti, riconosciuta a livello scientifico. Lo studio di Pianesi fissa un metodo di coltivazione denominato “Policoltura Ma-Pi”, dal nome appunto del ricercatore maceratese, per poi promuovere il consumo di alimenti naturali che hanno portato il proponente a riscoprire l’uso di cibi non sofisticati al punto da rivalutare la macrobiotica reinterpretando i principi dettati nella prima metà del novecento dal giapponese Georges Ohsawa, che la rilanciò seguendo le usanze e le tradizioni del proprio paese. Ad attuare con successo la “policoltura” del marchigiano è stata, nel 2008, la Mongolia su indicazione dell’Accademia delle scienze. Un’agricoltura non solo rispettosa dell’ambiente ma anche remunerativa per i coltivatori, che si basa sull’esclusione di prodotti chimici di sintesi e sulla consociazione di colture, ovvero cereali, verdure, legumi, alberi da frutto posizionati sullo stesso terreno e quest’ultimi sistemati uno ogni cinque metri, oltre al recupero di antiche varietà di semi e loro autoriproduzione spontanea. Secondo la Fao, l’organizzazione dell’Onu che si occupa della fame nel mondo, in questo modo, essendo la superficie agricola utilizzata nel pianeta di circa 45 milioni di kmq, ci troveremmo di colpo con quattro miliardi di alberi in più. Il progetto pianesiano, infatti, è in grado di produrre una forestazione rapida che, nel caso della Mongolia, ha fermato la desertificazione nonostante condizioni climatiche avverse (si va dai 30 gradi sotto zero in inverno ai 45 gradi sopra in estate).
La dieta proposta consiste nel nutrirsi esclusivamente di cereali, nella forma a cui più uno gli aggrada. Pianesi ha individuato in tre tipi di diete, contro le sette del giapponese, quelle più efficaci sperimentabili in casa o nei centri “Un Punto Macrobiotico”, una sessantina in Italia. Nelle Marche essi sono presenti a Macerata, Civitanova Marche, Urbisaglia, Montecosaro Scalo nel maceratese, a Pesaro, Fano e Urbino nel pesarese, ad Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, Porto San Giorgio e Porto Sant’Elpidio nell’ascolano-fermano e ad Ancona e Osimo.
La macrobiotica, in sostanza, sostiene che ognuno deve consumare solo quanto basta per mantenersi in buona salute secondo l’età, il sesso, l’occupazione, le stagioni, tendendo a mantenere l’equilibrio dei principi contrapposti dettati dalla filosofia orientale, “yin” (energia passiva) e “yang” (energia attiva), in base ai quali vengono poi classificati gli alimenti a seconda del loro carattere acido o alcalino. Per Pianesi, come detto, tutto parte dalla coltivazione dei cibi utilizzati: nelle Marche più del 10% del territorio è ormai coltivato seguendo il metodo della “policoltura Ma-Pi” che, attraverso l’autoriproduzione delle sementi e alla vendita dei prodotti nella rete “Un Punto Macrobiotico”, raggiungono l’autonomia economica. I terreni così coltivati con il loro habitat naturale hanno ritrovato l’equilibrio ripopolandosi anche di animali selvatici e dove ridottissimo risulta l’uso dell’acqua per l’irrigazione ed eccezionale è la qualità organolettica delle coltivazioni. A tal fine sono nati i club-ristoranti “Un Punto Macrobiotico” che lo stesso Pianesi ha tenuto a battesimo trentacinque anni fa nella regione partendo dal maceratese, suo luogo di residenza, e poi diffusisi in altre regioni. Per diventare soci occorre dotarsi di una tessera del costo annuo di cinque euro. Il pasto tipico è una combinazione di zuppa accompagnata da un piatto misto e dal canonico “the bancha”, che è un the verde giapponese, bevanda ufficiale del regime macrobiotico. Il tutto al costo di otto euro. La macrobiotica suggerisce, infatti, di cominciare il pranzo con i chicchi per terminare con le verdure per una digestione ottimale. Prima i cereali e poi i legumi e senza fretta perché tutto deve essere masticato a lungo. I centri presentano di solito la stessa doppia caratteristica di “negozio” e di “ristorante” dove è bandito l’utilizzo del telefonino. Camerieri e cuochi di passaggio sembrano comportarsi più come dei bibliotecari che come personale di un ristorante. Niente bancomat o carte di credito. La dieta è generalmente basata sul consumo di cereali integrali da costituire il 50-90% dell’alimentazione giornaliera, seguita dall’uso di verdure e legumi (dal 10 al 50%), di pesce e carne bianca (massimo 3-4 volte a settimana), pasta integrale (saltuariamente), alghe marine (il 2% del pasto) e frutta secca. I prodotti animali consentiti non devono superare il 10% e non farvi ricorso tutti i giorni. Sono esclusi caffè e alcolici, latte e suoi derivati e dolci contenenti zucchero bianco. Un ruolo non secondario, come accennato, riveste la masticazione prevista da 50 a 150 volte ogni boccone.