La felicità, secondo Gesù, non è la meta finale, ma il punto di partenza.
Nella sua prima catechesi lo ripete otto volte. I cristiani sono “beati”, cioè felici!
E lo sono in ogni situazione della vita: anche se sono poveri o nel pianto, anche se lasciano passare avanti gli altri. I cristiani sono felici, quando chiedono giustizia e quando perdonano. Felici nell’onestà, nella ricerca continua della pace e, addirittura, quando sono perseguitati.
Noi eravamo convinti decisamente del contrario. I soldi, il piacere, il potere, i propri diritti e i propri spazi, le proprie soddisfazioni, la furbizia, la tranquillità e l’opportunismo. Molti lo sono ancora.
Le circostanze non fanno la felicità, secondo il vangelo. I cristiani sono felici, perché il Signore agisce nella loro vita, li consola, li ama come figli, rende loro giustizia, li perdona, si fa riconoscere come un Padre buono, anche nella povertà, anche nelle sofferenze, anche nell’umiliazione, anche nella persecuzione, anche nella ribellione, anche nel peccato.
Io sono felice, perché dentro le vicende della mia storia e nelle contraddizioni e negli allontanamenti e nei tradimenti e nella fatica e nel dolore, e nelle incomprensioni, ho potuto scoprire che Dio esiste e che non mi abbandona a me stesso. Ho potuto riconoscerlo come un Padre che mi accoglie ed è contento di me, così come sono. Sempre.
Qualcuno pensa che il cristianesimo sia costituito innanzitutto da cose da imparare a memoria, impegni da prendere, una morale esigente, un giudizio insindacabile, tipo il club dei migliori. Ma Gesù la pensa diversamente: il cristianesimo è felicità.
Sono felice, perché Dio mi dà la vita. Non soltanto perché mi fa esistere, ma soprattutto perché mi insegna a interpretare la vita, in modo affascinante. Sempre.
La vita è la condizione, Dio è colui che agisce, la felicità è il dono. Sempre.
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3-10).
La condizione fondamentale è essere “poveri in spirito”.
La felicità appartiene a coloro che si riconoscono poveri, cioè mendicanti, bisognosi di tutto. Quelli che non hanno volto, che si nascondono, che non esistono, che non trovano alcuna consistenza in se stessi e hanno bisogno di tutto. Quelli che stanno davanti a Dio, come bambini che non sanno parlare, la cui vita dipende unicamente dalla premura altrui.
Crescendo ho preso coscienza dei miei difetti e di tante cose belle. So scrivere, so parlare, ho raggiunto traguardi, ho amici sinceri, mi sento realizzato come persona, ho preso decisioni giuste, mi sento apprezzato dagli altri. Ma se il Signore non fosse nella mia vita, se non mi avesse mostrato il suo amore, se non mi perdonasse ogni giorno, tutto perderebbe significato.
Il “povero in spirito” è colui che sa, ha e fa, oppure non ha, non sa e non riesce a fare, ma la sua vita non dipende da quello che ha, sa e fa.
Tutte le altre “beatitudini” sono conseguenza di questa consapevole esperienza. Tutta la felicità possibile è conseguenza di questo.
Prima ancora di quello che ho, so e faccio, la mia felicità dipende innanzitutto da Dio, che agisce nella mia vita. Come punto di partenza.