la rivolta sulle piazze dei “giubbetti gialli”
Forzato dagli eventi, il presidente della Repubblica francese ha convocato i suoi concittadini agli inizi di marzo per dibattere con loro su alcuni importanti argomenti di interesse comune
La “grande concertazione”: Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica francese, ha convocato i suoi concittadini agli inizi di marzo per dibattere con loro su alcuni importanti argomenti di interesse comune. È stato un po’ forzato a prendere la decisione dagli avvenimenti che si sono succeduti dal 17 novembre quando migliaia di persone, indossando i giubbetti gialli dell’emergenza stradale, si sono riversate sulle piazze delle principali città protestando per l’aumento del prezzo dei carburanti (peraltro assai più basso che da noi) e per altri provvedimenti che equivalevano a un aumento delle imposte, come l’imposizione di limiti di velocità e il taglio alle provvidenze per gli studenti.
Non erano neppure piaciute alcune infelici espressioni presidenziali su “la gente che non è nulla” e “i galli refrattari alle riforme”, accompagnate da misure fiscali a favore dei più abbienti, come l’abolizione dell’imposta patrimoniale. Nello stesso tempo il francese medio si andava lamentando per la diminuzione del potere d’acquisto dei salari e per il mancato adeguamento di quelli minimi. Oltre tutto le statistiche danno atto dell’aumento dei poveri, cresciuti di 600mila unità fra il 2006 e il 2016. In questo clima sono maturati gli scontri con le forze dell’ordine (sono stati mobilitati in tutta la Francia 89mila poliziotti, 8mila soltanto a Parigi), e, accompagnando le proteste popolari diciamo normali contro i palazzi del potere e di interruzione della circolazione, si sono infiltrati teppisti che hanno dato fuoco alle auto e ai cassonetti, distrutto vetrine di negozi. Si è calcolato in molte diecine di milioni di euro l’insieme dei danni, diretti e indiretti (compreso il turismo, specialmente a Parigi, dove sono stati chiusi esercizi pubblici e negozi), provocati dai disordini e una diminuzione dello 0,1 per cento del Pil, con probabili ulteriori effetti di rallentamento della crescita, anche perché le tensioni non sembrano voler diminuire. Ulteriore conseguenza dei disordini, 45mila disoccupati.
È stato sottolineato come l’ondata di rabbia abbia coinvolto un numero relativamente esiguo di francesi, 300mila nel primo (lo 0,01 della popolazione) più affollato sabato, colpendo però gangli vitali dell’economia (ad esempio la zona del commercio parigino attorno ai Champs Elisées, nel periodo prenatalizio) e reso difficili i trasporti e la consegna delle merci. Alle iniziali risposte di energico controllo dell’ordine pubblico e ai primi duri scontri (complessivamente i fermati sono stati oltre il migliaio, c’è stato qualche morto per incidenti e un certo numero di feriti) è seguita una diminuita partecipazione nei vari sabati di mobilitazione mentre anche il potere ha avuto modo di ripensare agli avvenimenti, definiti dai vescovi come “una crisi che rivela un malessere molto profondo e di vecchia data”. Macron deve aver riflettuto sulla caduta di popolarità che, dopo un anno e mezzo dalla trionfale elezione, è scesa dal 60 a sotto il 25 per cento, rischiando ulteriori diminuzioni. Inoltre devono aver fatto presa le accuse che negli ultimi tempi si sono moltiplicate nei confronti del presidente di arroganza del potere e indifferenza alle critiche.
Certamente per eliminare questa generale sensazione Macron si è rivolto ai suoi concittadini il 10 e il 31 dicembre. Nella prima occasione (seguito da 22 milioni di francesi) ha ammesso le sue responsabilità e si è scusato per non aver capito quale fosse lo stato di crisi della gente. Nella successiva allocuzione di fine anno (seguito da 11 milioni di persone) il suo è stato un intervento da capo dello stato, che con delicatezza e decisione si è deciso ad assicurare “l’ordine repubblicano”, criticando i “portavoce di una folla piena di odio”, scatenata contro le forze dell’ordine, giornalisti, stranieri, ebrei, omosessuali, con la pretesa di “parlare a nome del popolo”. Si è richiamato alle tradizioni del libertà della Francia e ha condannato le deviazioni commesse sia sulle piazze, sia attraverso gli strumenti del social. Non ha avuto comunque grazia presso le opposizioni e i “giubbetti gialli”, che lo hanno definito, “impostore”, uno “ché dà lezioni”, freddo; migliore l’accoglienza popolare.
Macron inoltre, a completamento della sua strategia di recupero del favore civico, indirizzerà ai francesi una lettera, per perfezionare la concertazione (come grande operazione politica cui associare in particolare i sindaci), con la quale, evidentemente, si propone due obiettivi: dimostrare la sua disponibilità al dialogo (già da oggi peraltro respinto dalla fascia più estremista del movimento dei “gialli”), introdurre nel dibattito politico un elemento che attenui le troppo insistite polemiche sui temi europei, considerando che già si sarà praticamente in campagna elettorale per il Parlamento di Strasburgo: ciò che sta suscitando contestazioni nel campo delle opposizioni che capiscono di doversi misurare su argomenti meno facili come il rapporto con l’opinione pubblica, rispetto, per esempio, al tema delle migrazioni, delle future prospettive dell’Unione, delle relazioni con la Germania, più demagogicamente strumentabili. Per la Francia saranno mesi caldi; non senza conseguenze, comunque, per il resto d’Europa.