LA CONDANNA DEL FANATISMO IN NOME DEL CORANO

L’organizzazione di terroristi che da oltre due anni mette a ferro e fuoco vaste aree del Medioriente, con propaggini nell’Africa mediterranea, ottiene due risultati, uno visibile e clamoroso, l’altro più nascosto. Il primo consiste nello spettacolo di ferocia offerto in nome di un Dio improbabile, il secondo riguarda le difficoltà che si frappongono a un sereno sviluppo del dialogo fra le religioni, in particolare fra cristianesimo e islam.

Sono musulmane il novanta per cento delle vittime dell’Is (sino a oggi decine di migliaia), così come quelle (centinaia di migliaia) delle confuse guerre di tutti contro tutti che oppongono non soltanto le due maggiori componenti dell’islam, sunniti e sciiti, ma anche i sunniti fra loro. Una minoranza di fanatici, fra questi ultimi, pretende di interpretare il corano secondo criteri che non risponderebbero, secondo la maggioranza moderata, all’autentica dottrina ma soltanto a obiettivi di potere.

Si sta quindi verificando il rigetto della violenza fondamentalista da parte del mondo islamico che, dopo un periodo di ambiguità, si esprime nettamente contro l’estremismo. Importante la contestazione che viene dall’ateneo Al-Azhar del Cairo, fra le maggiori istituzioni culturali dell’islam. Lo sceicco Ahmed al Tayyeb, grande imam dell’università, conduce dall’anno scorso una campagna contro il califfato dopo un convegno cui hanno partecipato settecento responsabili. Da allora si ripetono le condanne dei “crimini barbari” degli jiaihdisti: le loro  gesta “non hanno nulla a che vedere con la nostra religione”. Gli ulema e gli imam – i sacerdoti dell’islam – vanno ormai ripetendo, spesso a rischio della vita perché i terroristi non perdonano, che quella del califfato è una “ideologia malata che sostiene le strategia dell’estremismo di marca islamista”.

In Marocco – il suo sovrano, Maometto VI, è diretto discendente del profeta e uno dei “protettori” dell’islamismo – due  anni fa è stato aperto un Istituto per la formazione di predicatori anti-is, uomini e donne (queste sono centocinquanta su ottocento iscritti),  provenienti in particolare dai paesi della fascia sub sahariana minacciati dal fondamentalismo. L’università di al Qarawiyyn  privilegia l’insegnamento rivolto in modo speciale agli aspetti pacifici del corano, con le “sure” – i capitoli – che insistono sulla tolleranza verso i popoli del Libro, cristiani ed ebrei, e sul divieto di uccidere il prossimo se non in una guerra legale.

Anche il Consiglio francese del culto musulmano, il più importante fra le comunità islamiche europee e molto colpito dalla propaganda dell’Is, con un documento ufficiale ha respinto l’estremismo, il razzismo e l’antisemitismo, nonché “le azioni sovversive e radicali che insudiciano l’immagine dell’islam”. Analoga la condanna del Centro culturale islamico d’Italia: il suo segretario generale, Abdellah Redouane, ha pubblicamente affermato come l’operato del cosiddetto “stato islamico” sia contrario ai principi del corano: “La nostra fede – ha detto – non ha spazio per il loro fanatismo”.

Non è facile, nella situazione odierna, mantenere i nervi saldi e recuperare un reciproco rapporto di fiducia. Ma non manca la buona volontà: lo ha provato un incontro  organizzato ad Anversa, in Belgio, dalla Comunità di Sant’Egidio. Trecento esponenti di varie fedi vi hanno auspicato “la pace come futuro”: molto decise le condanne dei rappresentanti musulmani nei confronti del terrorismo islamista, dichiarato estraneo a ogni autentico concetto religioso, come ribadito nel testo conclusivo comune: “Chi è accecato dall’odio non appartiene alla religione pura e annienta la religione di cui si dice difensore”.