LA CANCELLIERA DI FERRO TIENE IN MANO GERMANIA ED EUROPA

Angela Merkel ha fatto tris, vincendo il 22 settembre scorso – dopo quelle del 2005 e del 2009 – anche le elezioni del 2013 per il rinnovo del parlamento tedesco. Prima di lei, soltanto Konrad Adenauer e Helmuth Kohl ci erano riusciti. Ha sfiorato la maggioranza assoluta: su 630 seggi, 311 sono andati alla Cdu-Csu (i partiti democristiani “fratelli”), lasciando i principali avversari, i socialdemocratici, a quota 192 e altre due formazioni minori, die Linke (la sinistra) e i verdi, rispettivamente con 64 e 63 deputati (ne avevano 76 e 68). Dopo oltre sessant’anni di ininterrotta presenza parlamentare, invece, escono di scena i liberali, che non arrivano al 5 per cento dei voti necessari (una regola presente in Germania in tutte le situazioni elettive) per essere rappresentati al Bundestag; e mancano di poco l’ingresso gli antieuropeisti dell’AfD, Alternativa per la Germania.

Grande successo, quindi, per la Merkel, considerata come uno dei personaggi politici più potenti del mondo, alla testa di un paese che è la quarta economia planetaria e che ha certamente una grandissima influenza in Europa. Successo, non trionfo, come molti si sono affrettati a diagnosticare, perché l’eliminazione dei liberali dalla scena politica non facilita la cancelliera (designata all’incarico dalla maggioranza del parlamento) nella formazione del governo, che sarà necessariamente di coalizione. La domanda è: con chi? Ed è forse una domanda che non avrà avuto risposta al momento in cui si leggerà questo articolo, a meno che non si sia impressa un’accelerazione alle trattative, presumibilmente lunghe e laboriose, come del resto è stato nel 2009, quando furono necessari 65 giorni per giungere a un risultato.

L’opinione pubblica, i sindacati e gran parte dei responsabili dell’industria spingono per una grande coalizione fra Cdu-Csu e Spd, e anche fra i socialdemocratici il 51 per cento è a favore di un accordo mentre il 39 di loro è contro. Questi ultimi (e tra loro Hannelore Kraft, autorevole nel partito, presidente della Renania-Westfalia, probabile candidata cancelliera della Spd alle elezioni del 2017) non vogliono fare la fine dei liberali, praticamente svuotati dalla Merkel in quattro anni di governo. Ricordano inoltre che nella precedente grande coalizione del 2005-2009 loro stessi passarono dal 34 al 23 per cento dei voti, con la Merkel che aveva fatto pagare agli alleati la severità di alcune misure impopolari (che hanno comunque rilanciato l’economia tedesca) dovute a un programma elaborato dal precedente cancelliere Spd Gerhard Schroeder.

Ma la logica politica si muove in quel senso, anche se i socialisti sono decisi a tenere duro e a non farsi trattare da subordinati. Assieme, le due formazioni rappresentano i due terzi dell’elettorato, quindi si presentano come una garanzia per il paese. Inoltre la Spd ha in mano qualche asso per la trattativa perché controlla largamente il Bundesrat, cioè la seconda camera espressione delle regioni federate, che ha estesi poteri in campo finanziario. Senza contare che l’attuale leader del gruppo parlamentare socialista nel parlamento di Strasburgo, Martin Schulz, è in predicato di diventare presidente del Consiglio dell’Unione Europea, cosa che darebbe a Berlino un ulteriore prestigio. Specialmente perché quello europeo sarà uno dei problemi che la Merkel si troverà in agenda al momento della conferma alla cancelleria: e, questa volta, non potrà rinviare alcune decisioni impegnative che devono essere assunte. Infatti nel 2014 sarà l’Europa a trovarsi in campagna elettorale e ci sono in giro molti euroscettici, specialmente in Germania. Anche per “Anghéla” gli esami non finiscono mai.