Il 1861 segna l’ultimo anno di vita del giovane Gabriele dell’Addolorata che sarebbe morto agli inizi dell’anno successivo. La malattia polmonare che lo affliggeva, la tubercolosi, aveva ormai consumato gran parte delle sue energie. Lui non avrebbe voluto ma i superiori, per prudenza e carità, gli comandavano di stare riguardato, per obbedienza: era l’unico modo per farlo pacificare e per costringere il giovane santo a custodire al meglio la poca salute rimasta. Proprio in questa prospettiva, il superiore del tempo, padre Valentino della Madre di Dio dispose che si spostasse dalla camera in cui era dal suo arrivo nel ritiro di Isola, a una camera diversa. Il padre Norberto Cassinelli, direttore spirituale del santo, decise di cedergli la sua camera che oltre ad essere un poco più grande era anche più soleggiata e quindi confortevole per l’infermo. Confratello Gabriele vi rimase dalla seconda metà del 1861 fino alla morte il 27 febbraio 1862. In questa camera si sono svolte alcune delle scene più toccanti della sua breve vita. Si potrebbe quasi dire che Gabriele pur non avendo mai predicato una missione, fu missionario dalla cameretta dando in ogni occasione, con la vita e gli scritti, prova di una vita tutta donata a Dio. Ormai segnato dalla malattia domandava di poter pregare per una santa morte. Padre Norberto, però, gli disse: “Dimandi la guarigione se è bene per l’anima sua e se è di gloria a Dio, altrimenti che le conceda una buona e santa morte”. E annota: “Non replicò e obbedì docilmente sino alla fine”. È ancora padre Norberto a ricordare che un confratello si volse al giovane Gabriele dell’Addolorata che si era appena comunicato per dirgli “Confratello Gabriele, preghi Gesù Cristo che ora ha nel petto che lo porti in paradiso”. e il santo rispose: “Non posso perché il padre spirituale me lo ha proibito”. È anche qui che, aggravata la condizione di salute, avrebbe ricevuto il santo Viatico in preparazione alla morte. Era il 17 febbraio 1862. padre Norberto lo ricorda così: “Mi pare ancora di vederlo mentre entrava in camera il sacramento: sembrava colpito e annientato dalla grandezza e maestà di Gesù Cristo e tutto intenerito e commosso e si vedeva penetrato da sentimenti di fede e di devozione, e a vederlo muoveva a divozione, a tenerezza e lagrime la comunità che aveva accompagnato il viatico, e che, essendo grande la camera, quasi tutta era riunita intorno al letto dell’infermo”.
Padre Norberto rende poi una testimonianza della stima che si aveva del giovane Gabriele raccontando di un altro studente che ne chiedeva l’intercessione: “Uno dei suoi compagni un giorno venne a dirmi che l’assistere confratello Gabriele gli faceva tanto bene allo spirito, lo edificava, lo animava alla virtù” e aggiunge: “Questo religioso, qualche giorno prima che morisse confratello Gabriele venne a confidarmi che quando confratello Gabriele fosse venuto a morire, voleva applicare la mano del defunto sopra un incomodo che aveva, avendo speranza che gli avrebbe ottenuto da Dio la guarigione”. Sempre in questa camera il giovane Gabriele, scrive alcune delle sue più toccanti lettere a quelli di casa. In particolare all’amato papà Sante. A maggio 1861, saputo di una sua tribolazione gli dice: “Adesso si fabbrica la casa per abitarci non trenta, quaranta, cento anni, ma un’eternità… Coraggio dunque, caro padre, siamo pellegrini e come tali non ci dobbiamo fermare per la strada di questo mondo ingannatore, ma teniamo fissi gli occhi alla vera patria. Tenete fissi gli occhi in Gesù e Maria, e vedete se qualsiasi tribolazione può uguagliare le loro pene” (L 38). A dicembre dello stesso anno gli parla dei poveri e l’incoraggia a fare elemosine: “Ah, papà mio! Se l’esperienza non lo confermasse, potrebbe sembrare un paradosso, un tentare Iddio: come! Dare ai poveri quel che si ha e poi pretendere da Dio un miracolo chè non manchi niente? Questa e stoltezza, è imprudenza. Così direbbe uno meno cristiano. Ma sbaglierebbe. Avete tempo ad economizzare qua e là, risicare in questo e in quello, massime col non soccorrere il prossimo. In tal modo starete sempre in pensieri e penurie. Provateci e se l’evento non confermerà l’asserzione smentitemi pure… Ricordatevi, o padre, che avete un figlio che alla fine non è altro che un povero che vive delle elemosine altrui, e pure non solo non gli manca niente, ma ha in abbondanza…” (L 40). Infine a dicembre, ovvero appena due mesi prima di morire, scrive al fratello Michele, dando prova della sua adesione più radicale al progetto di Dio su di lui: “A quest’ora forse potrei essere ordinato sacerdote, ma la mancanza degli ordinanti ha impedito che ascendessi più oltre degli ordini minori; Iddio così vuole, così voglio anch’io” (L 41). Appena due mesi dopo quest’ultima lettera, Gabriele muore in questa stanza, attorniato dall’affetto e dalla stima dei confratelli e alla presenza della Mamma celeste che fino all’ultimo aveva invocato: “Mamma mia fa presto”.