“Dobbiamo preferire una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – ammonisce papa Francesco – piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”
La Chiesa “in uscita” di papa Francesco è una Chiesa missionaria. Accanto all’altro, se l’altro è il fratello che soffre, che ha bisogno di aiuto, se l’altro è l’ultimo scarto di una società che abbonda di scarti. Il mondo missionario, da sempre, si preoccupa di condividere speranza e carità con chi è ai margini. Anche se è un lavoro spesso nascosto alle telecamere, non retribuito. Secondo i dati forniti dalla Fondazione Missio, l’organismo della Conferenza episcopale italiana nato per sostenere la dimensione missionaria della Chiesa italiana, nell’ottobre dello scorso anno erano circa 8mila i missionari italiani nel mondo, fra sacerdoti, suore e laici consacrati. Un po’ di meno rispetto agli anni scorsi, in particolare ai fatidici anni novanta con ventimila vocazioni sul campo. Piccoli accenni di crisi. Anche l’esperienza dei fidei donum (preti italiani “prestati” a un’altra diocesi nel mondo per un periodo limitato di tempo) si è ridimensionata. L’età media si alza con il tempo che passa, oggi a 63 anni, e inoltre si è invertito il rapporto fra italiani e membri di altri paesi, all’interno di congregazioni e istituti nati in Italia.
Dati che dicono, in ogni caso, che se la spinta a rendersi disponibile in altri paesi si è un po’ affievolita, in realtà di missionari nel mondo c’è sempre e più bisogno. La Chiesa di domani, quella dei continenti poveri e di “mamma” Africa, è una comunità che accoglie, già da oggi, più fedeli e meno preti. Ma i preti che ci sono, e ci saranno, sono una risorsa preziosa da non perdere.
Di questo ne è ben consapevole papa Francesco che, in occasione dell’ottobre missionario 2017, e in particolare della Giornata missionaria (il 22 del mese), ha sempre avuto un’attenzione particolare. E se lo scorso anno il tema del messaggio per la Giornata missionaria mondiale era la misericordia, quest’anno è proprio la “missione” a essere il cuore del messaggio cristiano.
Una storia antica quella della Giornata missionaria. Nel 1926, l’Opera della Propagazione della Fede, su suggerimento del Circolo missionario del seminario di Sassari, propose a papa Pio XI di indire una giornata annuale in favore dell’attività missionaria della Chiesa universale. La richiesta venne accolta con favore e lo stesso anno fu celebrata la prima Giornata missionaria mondiale per la propagazione della fede, stabilendo che ciò avvenisse ogni penultima domenica di ottobre, tradizionalmente riconosciuto come mese missionario per eccellenza.
In questo giorno i fedeli di tutti i continenti sono chiamati a riflettere con gesti concreti di solidarietà a sostegno di tutte le giovani Chiese.
L’ottobre missionario attualmente prevede un cammino di animazione articolato in cinque settimane, ciascuna delle quali propone un tema su cui riflettere. Contemplazione, fonte della testimonianza missionaria; vocazione, motivo essenziale dell’impegno missionario; responsabilità, atteggiamento interiore per vivere la missione; carità, cuore della missionarietà; ringraziamento, gratitudine verso Dio per il dono della missione.
Papa Francesco sa che il futuro della Chiesa nel mondo è un futuro missionario. Le sue parole, i suoi messaggi, la sua carità e misericordia guardano alla missione, là dove il cristianesimo è una risorsa per l’umanità assetata di giustizia e libertà. “La missione della Chiesa non è, quindi – scrive il papa nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale del 22 ottobre 2017 – la diffusione di una ideologia religiosa e nemmeno la proposta di un’etica sublime. Molti movimenti nel mondo sanno produrre ideali elevati o espressioni etiche notevoli. Mediante la missione della Chiesa, è Gesù Cristo che continua ad evangelizzare e agire, e perciò essa rappresenta il kairos, il tempo propizio della salvezza nella storia. Mediante la proclamazione del Vangelo, Gesù diventa sempre nuovamente nostro contemporaneo, affinché chi lo accoglie con fede e amore sperimenti la forza trasformatrice del suo Spirito di Risorto che feconda l’umano e il creato come fa la pioggia con la terra”.
Il mondo ha essenzialmente bisogno del Vangelo di Gesù Cristo. È Gesù che cura le ferite sanguinanti dell’umanità, che orienta chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta. In questo senso il papa fa anche degli esempi concreti. “Penso al gesto di quello studente Dinka che, a costo della propria vita, protegge uno studente della tribù Nuer destinato a essere ucciso. Penso a quella celebrazione eucaristica a Kitgum, nel Nord Uganda, allora insanguinato dalla ferocia di un gruppo di ribelli, quando un missionario fece ripetere alla gente le parole di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, come espressione del grido disperato dei fratelli e delle sorelle del Signore crocifisso. Quella celebrazione fu per la gente fonte di grande consolazione e tanto coraggio. E possiamo pensare a tante, innumerevoli testimonianze di come il Vangelo aiuta a superare le chiusure, i conflitti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e tra tutti la riconciliazione, la fraternità e la condivisione”.
L’esodo è il termine biblico per eccellenza del pontificato di Francesco, ma è anche un termine dove ogni uomo può aggrapparsi in cerca di sponde amiche e fraterne. La missione della Chiesa stimola un atteggiamento di continuo pellegrinaggio attraverso i vari deserti della vita, attraverso le varie esperienze di fame e sete di verità e di giustizia. “La missione della Chiesa ispira una esperienza di continuo esilio, per fare sentire all’uomo assetato di infinito la sua condizione di esule in cammino verso la patria finale, proteso tra il già e il non ancora del Regno dei Cieli”.
Nel messaggio papa Francesco non rinuncia a quello che ormai è un leit motiv della Chiesa in uscita. “La missione dice alla Chiesa che essa non è fine a sé stessa, ma è umile strumento e mediazione del Regno. Una Chiesa autoreferenziale, che si compiace di successi terreni, non è la Chiesa di Cristo, suo corpo crocifisso e glorioso”. Ecco allora perché dobbiamo preferire “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”.
Ecco perché ci sono mille ragioni per scegliere e sperare una Chiesa missionaria, compagnia preferita lungo le strade, a volte accidentate, per il Regno.