IL 45ENNE INGEGNERE INFORMATICO DI ORIGINI CONGOLESI HA PERCORSO SINO A OGGI CIRCA 5MILA CHILOMETRI IN GIRO PER L’EUROPA. DENUNCIA I SOPRUSI E LE VIOLENZE CHE SUBISCE DA UN VENTENNIO IL SUO POPOLO E SENSIBILIZZA L’OPINIONE PUBBLICA SULLA DRAMMATICA SITUAZIONE CHE VIVE IL POPOLO SIRIANO E PALESTINESE Ha lasciato tutto per dedicarsi completamente alla pace. Seguendo le orme di personaggi quali Martin Luther King e Nelson Mandela, John Mpaliza, 45enne ingegnere informatico di origini congolesi, si è messo in cammino. Capelli rasta, allegria contagiosa, zaino in spalla, chitarra e l’immancabile bandiera della pace. Sinora ha percorso circa 5mila chilometri in giro per l’Europa. Nel 1991 ha lasciato il Congo del dittatore Mutu, per farvi ritorno dopo circa 15 anni. Nel frattempo ha chiesto asilo politico in Italia dove ha studiato presso i gesuiti. Qui in Italia si è laureato e ha trovato lavoro al comune di Reggio Emilia. Nel 2010 ha completato il Cammino di Santiago de Compostela. L’anno seguente è partito per Roma e per Assisi su invito del Tavolo per la pace. Nel 2012 è partito da Reggio Emilia, città dove attualmente vive, per arrivare a Bruxelles: una marcia di 1.600 chilometri in 55 giorni, attraversando sette paesi che ha visto il patrocinio del Senato e il sostegno della comunità congolese in Italia. Quest’anno ha portato il suo messaggio di pace attraverso tutto lo Stivale, da Reggio Emilia a Reggio Calabria, incontrando gente comune ma anche rappresentati istituzionali. Per denunciare i soprusi e le violenze che subisce da un ventennio la popolazione della Repubblica democratica del Congo. Ma anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla drammatica situazione che vive il popolo siriano e palestinese.
Un impegno incessante e dispendioso, quello intrapreso da John Mpaliza, che lo ha costretto ad abbandonare il lavoro per potersi dedicarsi completamente al messaggio di pace. È sostenuto da Peace walking man, un’organizzazione internazionale che ha come sede legale Bruxelles e sede operativa Reggio Emilia. Lo abbiamo incontrato in una delle sue tappe italiane per parlare del senso della sua iniziativa.
Come nasce l’idea di marciare per la pace?
L’Italia è il secondo fornitore di armi alla Siria dopo la Francia: non possiamo continuare a essere indifferenti di fronte a tali situazioni e le persone devono essere informate di quello che accade nel mondo. Quindi pensare che noi non ci entriamo non è possibile e tutto ciò mi fa male: preferisco parlare soprattutto ai giovani che sono più disposti ad ascoltare. Così ho deciso di “consacrarmi” alla pace.
Qual è la situazione oggi nel tuo paese di origine?
Assai critica tra violenze, scontri e repressione. I miei familiari hanno fatto veglia di preghiera per me, mia madre ha pregato che mia sorella fosse stata uccisa piuttosto che presa e violentata. Mio fratello gestisce una Ong locale perché lo stato non esiste.
Come bisognerebbe affrontare il problema delle violenze sulla popolazione?
Non c’è pace senza giustizia. Ma non ci può essere riconciliazione se prima non ci si è stretti la mano e non si è chiesto perdono all’altro. Non si raggiunge la pace se non si risolvono i conflitti interni: i paesi sviluppati devono intervenire in tempo. Ritengo che il mondo non sia così cattivo, la gente in generale è buona ma purtroppo non decide, mentre i pochi cattivi decidono le sorti di tanti.
Quali sono le prossime marce in programma?
In aprile inizierò la marcia di Helsinki, la casa della Nokia, dove si producono i telefoni di ultima generazione realizzati con il coltan (un minerale fondamentale per videocamere, telefonini, apparecchi high tech, ndr): l’80 per cento del coltan in circolazione si trova solo in Congo, alcune delle più grosse multinazionali sfruttano queste miniere e i congolesi; l’Onu stima che nel corso dell’ultimo ventennio la guerra per accaparrarsi questo minerale ha prodotto circa otto milioni di vittime: io stesso ho avuto una sorella dispersa e mio padre morto. Nel 2016 invece sarà la volta del Sudafrica, un paese che dopo l’apartheid e la scomparsa di Mandela ha dato una lezione di civiltà all’umanità: con la loro filosofia Ubuntu (un’etica che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone che può essere tradotta in lingua bantu come “benevolenza verso il prossimo”, ndr) hanno saputo schiacciare l’odio.
Ci sono in cantiere altre iniziative di sensibilizzazione per la pace?
Stiamo organizzando un programma di sensibilizzazione nelle scuole congolesi con psicologi e avvocati perché bisogna denunciare le violenze. Qui in Italia partiranno una serie di progetti rivolti prevalentemente ai giovani: festival di musica per la pace a Reggio Emilia, corsi di poesia per la pace, mostre a Torino, Padova, Milano e Reggio Emilia.
L’incontro si conclude qui. Il tempo dei saluti e di un’ultima battuta: “Nella mia impresa ci metto i piedi e il cuore per i ragazzi di oggi che sono il nostro futuro”. Buon cammino, John…