IN FUGA DALLA DISPERAZIONE
In tutto il mondo aumenta l’esodo di profughi, rifugiati e sfollati. La popolazione più colpita è quella dei bambini e anche le morti per annegamento non accennano a diminuire. Fame e guerra le cause principali
Il XXI secolo non è cominciato bene per i rifugiati e sta proseguendo sempre peggio. Ormai oltre cento milioni di essere umani diseredati sono costretti ogni anno a lasciare le proprie regioni o il Paese d’origine a causa di guerre, persecuzioni, calamità naturali, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani ed eventi che turbano gravemente l’ordine pubblico. Un numero in continua crescita secondo i numeri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), l’agenzia dell’Onu che si occupa della gestione dei rifugiati, fornendo loro protezione internazionale ed assistenza materiale. Oltre ai dati, il fatto ancora più preoccupante è diminuiscono le possibilità per i rifugiati di arrivare a soluzione rapida della loro situazione. Negli anni 90 una media di 1,5 milioni di rifugiati ha potuto fare ritorno alle proprie case ogni anno; negli ultimi dieci anni quel numero è sceso a circa 385.000 persone, il che significa che l’aumento degli sfollati supera di gran lunga le soluzioni. L’anno scorso è stato stabilito il record: 108,4 milioni di persone in tutto il mondo sono state sfollate con la forza. Le previsioni parziali di quest’anno fanno intendere che ci sarà un peggioramento. In poco tempo la situazione è precipitata, nel decennio 2011-2021 il numero di rifugiati è raddoppiato, da 43 milioni a 89, a causa di molteplici conflitti armati come le sanguinose guerre in Siria e Yemen, o conflitti etnici nel continente africano e nel sud-est asiatico; oppure per l’instabilità politica ed economica in paesi come il Venezuela. In seguito, la guerra in Ucraina dopo l’invasione russa ha portato il mondo a infrangere la barriera dei 100 milioni che ormai sembra destinata a essere superata sistematicamente.
La guerra in Ucraina ha dato sicuramente una grossa spinta agli esodi forzati nel 2022, basti pensare che il numero dei rifugiati provenienti da quel Paese è salito dai 27.300 della fine del 2021 ai 5,7 milioni di fine 2022. Ucraini sono il 41 per cento dei 354.414 rifugiati (un numero dunque assai esiguo) che l’Italia ospita. Alla fine del 2022, un totale di 11,6 milioni di ucraini rimanevano sfollati, di cui 5,9 milioni all’interno del loro paese e 5,7 milioni fuggiti nei paesi vicini e oltre. Restano tuttora irrisolte, e dunque anche qui con un numero ancora crescente di persone in fuga, la crisi in Afghanistan (con 8,2 milioni di persone che, per lo più, hanno trovato rifugio in Iran e Pakistan) e la guerra civile in Siria (6,5 milioni in fuga), alle quali si è aggiunto negli ultimi mesi il grande esodo per lo scoppio del conflitto in Sudan. La popolazione più colpita è quella dei bambini. L’Unhcr stima che il 30 per cento dei rifugiati siano ragazzi e ragazze. A sua volta, il continente più colpito è l’Africa, dove le razioni di cibo sono già state ridotte nei paesi serviti dal Programma alimentare dell’Onu (Wfp), come Kenya, Sud Sudan, Uganda ed Etiopia. La fame è precisamente una delle maggiori cause di sfollamento forzato nel mondo perché le nazioni che subiscono guerre sono generalmente colpite nelle loro fonti di approvvigionamento alimentare e idrico.
Ma dove va chi scappa dalla propria terra? Solo uno su tre (quindi poco più di 35 milioni) chiede protezione internazionale e diventa a tutti gli effetti rifugiato, la maggior parte resta uno sfollato interno o trova ospitalità in Paesi vicini, quasi sempre con reddito basso o medio. La Turchia è il principale paese ospitante (lo scorso anno ha accolto quasi 3,8 milioni di rifugiati), seguono la Colombia (1,8 milioni), l’Uganda (1,5) e la Germania (1,3). L’Italia fa registrare numeri molto più bassi: 196.641 tra rifugiati (144.862) e richiedenti asilo (51.779), appartenenti a 30 nazionalità diverse (provengono soprattutto dal Corno d’Africa, dall’Africa subsahariana e dal Medio Oriente). Le domande esaminate dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato sono state in tutto 52.987: 8.107 persone hanno ottenuto l’asilo politico, 8.761 la protezione sussidiaria, 6.329 la protezione speciale, mentre 29.790 domande sono state respinte. La maggior parte delle persone che hanno richiesto asilo politico in Italia negli ultimi anni proviene da Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Nigeria, Egitto, Costa d’Avorio, Georgia, Somalia, Marocco e Gambia.
Spesso per fuggire dalla drammatica situazione nei loro Paesi di origine, e perché sprovvisti di documenti per espatriare legalmente, rifugiati e richiedenti asilo si vedono costretti a ricorrere a qualsiasi mezzo per cercare di giungere terre sicure dove chiedere protezione. Uno dei modi più tragici è quello delle cosiddette “carrette del mare”, barchini sui quali organizzazioni delinquenziali ammassato oltre l’inverosimile esseri umani disperati che, dopo aver pagato somme mostruose per le loro rendite esigue, rischiano la vita. Sempre più spesso il mare diventa una tomba, come ricordano le sciagure di Lampedusa (368 morti), Canale di Sicilia (circa 900), Mar Egeo (circa 600), Cutro (94), tanto per citare le maggiori, mentre i politici dei Paesi “civili” cercano di sfruttare politicamente il fenomeno. Per quanto riguarda il Mediterraneo, questi sono i dati forniti da Vincent Cochetel, l’inviato speciale Unhcr per il Mediterraneo centrale e occidentale: “3.714 mori nel 2022 per annegamento sulle rotte della migrazione, 981 a causa di violenze, 800 di incidente stradale mentre scappano dalle varie polizie, 454 di carestia, sete. Ecco il Mediterraneo dei migranti. Ogni ritardo uccide”.
Infine, due parole sul cambiamento climatico, “crisi che definisce i nostri tempi”, come Unhcr descrive lo sfollamento forzato generato dai disastri naturali. Ogni anno, 20 milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case a causa di fenomeni come inondazioni o siccità prolungate. I Paesi più colpiti sono quelli dell’emisfero sud del pianeta, molti dei quali sono già vittime di conflitti politici ed economici, da Sahel al Corno d’Africa, dal Bangladesh al Mozambico, dal Camerun al Sud Sudan, dall’Afghanistan al Pakistan, fino all’America centrale. Gli ultimi due anni hanno fatto segnare uno scostamento verso l’alto dei migranti climatici. Giusto per fornire un metro di valutazione, basti riportare le previsioni di Rachmat Witoelar (ex ministro dell’Ambiente dell’Indonesia ed ex presidente della tredicesima conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) secondo il quale nel 2050 le condizioni climatiche saranno estreme e, di conseguenza, “le 17mila isole indonesiane con le loro immense coste saranno inghiottite dal mare”. Queste affermazioni si aggiungono al rapporto preparato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change nel quale si sostiene che se non si combatte il riscaldamento globale, entro tre decenni ci sarà più di un miliardo di rifugiati climatici.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (insignita per ben due volte del premio Nobel per la pace, nel 1954 e 1981), fu istituita nel 1950 per aiutare gli europei sfollati a causa della Seconda Guerra Mondiale. I padri e i nonni di quegli europei che fanno a gara a schivare i rifugiati del Ventunesimo secolo.