L’urlata campagna referendaria ha creato o accentuato le condizioni per la possibilità che si manifestino fatti politici e istituzionali che potrebbero incidere profondamente sul futuro del paese. Alcuni dovranno essere valutati dopo i risultati del 4 dicembre. Di altri invece se ne può già cogliere natura e rilevanza. Il primo è il riproporsi nel Pd – erede della tradizione del partito comunista e dei partiti socialisti – degli scontri, soprattutto in quelli socialisti, tra riformisti e massimalisti. Favorevoli i primi (in misura crescente nel tempo) ad alleanze con partiti democratici al fine di contrastare i fattori economici e sociali negativi del capitalismo. I secondi, invece, favorevoli alla conquista del potere politico-istituzionale (con alleati o con politiche anche eversive) per realizzare in Italia una società socialista.
Scontri spesso finiti in scissioni e con rilevanti conseguenze per il paese. Come nel 1912, quando i massimalisti di Mussolini espulsero dal Psi i riformisti di Bissolati. Nel 1921, con i massimalisti di Gramsci e di Bordiga, che usciti dal Psi fondarono il Partito comunista. Nel 1947, quando i riformisti di Saragat ruppero con i massimalisti di Nenni e di Morandi e fondarono il partito Socialdemocratico. Come nel 1964, quando i massimalisti di Basso e di Vecchietti ruppero con i riformisti di Nenni dando vita al Partito socialista italiano di unità proletaria.
Nel 1976, quando i riformisti di Nenni e di Craxi tolsero la segreteria del Psi a De Martino e ai massimalisti, anche con l’obiettivo di sottrarre al Pci l’egemonia sulla sinistra italiana. Tra il 1979 e il 1984 pure nel Pci vi fu (in forme e contenuti peculiari) uno scontro tra i riformisti di Napolitano e di Macaluso e i massimalisti di Berlinguer. Favorevoli i primi a una alleanza con i socialisti per rilanciare la politica di riforme dei governi di Solidarietà nazionale 1976-1979. I secondi orientati invece alla lotta ad oltranza contro la Dc e il Psi, perché convinti che, nonostante i fallimenti in Urss e in Cina, il comunismo fosse ancora realizzabile in Italia e in Europa.
Dopo la fine del Psi e del Pci, anche nei partiti eredi di quelle sinistre (Pds, Ds, Ulivo, Pd) si manifestarono, in modi e forme espressive delle nuove realtà, le tensioni tra riformisti e massimalisti, diventate scontro (con prospettive di scissione) nel Pd di Renzi. Tanto che in vista del referendum, gran parte dei massimalisti si è schierata per il No. Cioè contro un indirizzo di rilevanza politico-programmatica assoluta (la riforma della Costituzione) deciso dalla grande maggioranza del partito e dei gruppi parlamentari. Scelta dai massimalisti motivata con argomenti istituzionali e di politica generale; ma assunta, di fatto, per indebolire e, possibilmente, rovesciare il segretario del partito. Renzi a sua volta, in particolare il 6 novembre alla Leopolda, ha attaccato frontalmente D’Alema, Bersani e Speranza, e molti in platea hanno urlato “fuori”!
Il secondo fatto di rilievo reso evidente dalla campagna referendaria, è la ricomposizione formale dell’unità della destra di Fi, Lega e Fdi con il No al referendum in funzione anti Renzi presidente del Consiglio. Ricomposizione formale però, perché anche nella campagna in vista del voto del 4 dicembre i tre partiti hanno confermato che una loro alleanza programmatica è irreale. Per l’europeismo di Fi, che si contrappone al nazionalismo radicale di Fdi. e al feroce nordismo e antieuropeismo della Lega. Poi perché Salvini ha, apertamente, posto la sua candidatura a leader del centrodestra, contro Berlusconi e contro Parisi.
Terzo fatto, infine, è l’evidente passaggio nel corso della campagna referendaria del M5S da soggetto movimentista a soggetto partitico. Grillo e Casaleggio in-fatti sono diventati sempre più vertice di comando e non solo, come dicevano “di riferimento”.
Decisione che ha fatto finire i giochini delle votazioni via internet sulle questioni di reale importanza; e a portare il Movimento dalla parte del giustizialismo delle ali estreme della magistratura, nell’intento di poter dare colpi definitivi, dopo il referendum, a Renzi e al centrodestra.