IL VECCHIO PAPA

Venerdì 27 marzo, papa Francesco in una Piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia, ha presieduto un momento di preghiera straordinario in tempo di epidemia. Riviviamolo.

Il vecchio papa attraversò il selciato livido di San Pietro come fosse una sua personale Via Crucis, sotto un cielo di piombo che pioveva a scroscio. Era barcollante a tratti, per la zoppia che lo affliggeva da tempo. Procedette malfermo ma deciso verso la scalinata della basilica, e la salì solitario, appena sorretto da un improvviso cireneo, come fosse il suo Calvario. Sedette esausto, il volto dolente e smarrito come mai, e fu come si distendesse sulla Croce. La piazza era vuota. La gente se ne stava rintanata nelle case. Non un cardinale a fargli corona. Si è sempre soli nell’ora del patibolo. E lui si stava offrendo per l’umanità intera, invisibile davanti agli schermi dei continenti. Sopra la piazza ora la pioggia diluviava. Il selciato e il cielo diventavano sempre più neri. Poi al termine di una lunga e silenziosa immobilità, lui si scosse per riemergere al tempo come da abissi di interiore, spirituale angoscia.

Il vecchio papa si alzò a parlare. E sulla sua bocca, come fosse una fioritura di speranza, comparve la barca di Pietro e di altri apostoli in preda alla tempesta, mentre Gesù dormiva. La tempesta cresceva e cresceva la paura dei discepoli che se ne uscirono nel grido che ciclicamente ripete l’umanità di ogni tempo di fronte al dolore: Signore salvaci. E il Signore si levò, e gridò alla tempesta di placarsi e quando la bonaccia tornò, con dolce rimprovero disse loro: perché avete avuto paura? Non avete ancora la fede?

Ma la fede non toglie la paura. La paura è nella natura umana. Egli stesso in preda alla paura sudò sangue tra gli ulivi del Getsemani e pregò il Padre perché non gli facesse bere il calice amaro della crocifissione. Anche la paura è un diritto. Quando però Cristo si avvicina agli uomini, la paura si tramuta in affidata speranza. Che è frutto del suo amore.

Il vecchio papa levò l’ostensorio sopra i quattro angoli della terra.

Si avvertiva l’assillo dell’invisibile che aveva fatto chiudere gli usci delle case e gremire gli ospedali, che aveva serrato le fabbriche, chiuso gli uffici e i negozi, rese deserte le piazze ed i vicoli, inutili le fontane dei parchi se non c’erano più ragazzi a bere alle cannelle, che aveva fatto sciogliere le nevi, senza prima vederle solcare da frotte di sciatori.

La pioggia anziché cessare veniva ora giù a raffica. I lampioni della piazza sembravano inariditi e bui. Il selciato si confondeva con il cielo. La primavera sembrava essersi mutata in tregenda.

Poi, mentre il vecchio papa si allontanava per il ritorno a casa, improvvisamente uno spiraglio piccolissimo di cielo si aprì e prese forma umana. Come un refolo bianco con le braccia aperte ad accogliere le pene degli uomini e del tempo. La piazza deserta parve trasalire dei battiti di una folla enorme e invisibile che raccoglieva il respiro angoscioso delle case. In basso, sul sagrato, era rimasto solo il Cristo Crocifisso di San Marcello al Corso, che aveva salvato i romani dalla peste del millecinquecento. Mario Narducci

L'ECO di San Gabriele
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