IL SOGNO DI AGOSTINO

By Gino Consorti
Pubblicato il 30 Novembre 2012

Il figlio dello storico capitano della Roma che si tolse la vita il 30 maggio 1994, ha raccolto gli appunti del padre pubblicandoli nel bellissimo libro Il manuale del calcio. i proventi della vendita andranno a Calciosociale, un’associazione di volontari che si spende per il recupero di ragazzi con difficoltà economica familiare, di integrazione sociale o di handicap fisico
Un colpo di pistola dritto al cuore e poi il silenzio della morte. Aveva trentanove anni quando la mattina del 30 maggio 1994 l’indimenticabile capitano della Roma, Agostino Di Bartolomei, giocatore e uomo esemplare, mise fine alla sua esistenza. Lo fece guardando per l’ultima volta il blu intenso del mare e gli straordinari colori del Cilento. Si trovava in veranda, nella villa a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno, dove s’era “rifugiato” insieme alla sua famiglia, la moglie Marisa e i figli Giammarco e Luca. Era diventato il suo buen retiro dove la salsedine, il profumo dei fiori e il suono dei gabbiani avevano preso il posto dello smog della capitale e dei flash del “grande” calcio.
Dopo aver riposto le scarpe bullonate, Agostino Di Bartolomei, il condottiero che guidò i giallorossi alla conquista del secondo scudetto (1982-83), non aveva mai nascosto il grande desiderio di restare in quel mondo. Sì, aveva provato a percorrere anche altre strade – un’agenzia assicurativa e la politica – ma ciò che gli faceva battere forte il cuore era solo un pallone che rotolava sull’erba. Quell’erba che per tanti anni l’aveva visto protagonista e che voleva calpestare ancora insegnando ai ragazzini. A San Marco aveva aperto una scuola calcio ma il suo sogno, più che mai lungimirante, era realizzare un college dove far crescere nel modo migliore i futuri calciatori e i futuri uomini. Trasmettere cioè quei valori puri che da ragazzino Agostino aveva respirato negli oratori e nelle piazzette impolverate di borgata dove aveva iniziato a dare i primi calci a un pallone. Un bellissimo sogno mandato definitivamente in frantumi quella tragica mattina da un colpo di pistola. Definitivamente perché quel suo desiderio era già stato soffocato dall’egoismo del mondo pallonaro che gli aveva girato le spalle. “Mi sento chiuso in un buco…”. Queste poche parole scritte in un foglietto stracciato, rinvenuto successivamente nella tasca di una giacca, lasciano infatti intuire il peso che Agostino si portava dentro. Un fardello opprimente che giorno dopo giorno aveva indebolito la fiammella della vita fino a condurlo a quel gesto incomprensibile, così lontano dal suo cuore e dalla sua intelligenza. Un disagio interiore tenuto segretamente nascosto anche alla sua famiglia.
All’epoca erano trascorsi dieci anni esatti dalla sconfitta della Roma nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool all’Olimpico e alcuni commentatori frettolosi provarono a legare le due cose. Erano però fuori strada. Un uomo di quella pasta non l’avrebbe mai data vinta a una sconfitta maturata su un rettangolo d’erba… No, alle 8.45 di quel 30 maggio altre “sconfitte” spinsero il grilletto della sua Smith&Wesson calibro 38 a tamburo, un’arma acquistata alcuni anni prima dopo essere rimasto vittima di una rapina in un ristorante della capitale.

Quella mattina sua mo-glie e il figlio ventenne Giammarco dormivano. Lu-ca, invece, all’epoca undicenne, stava preparandosi ad andare a scuola. Suo padre era in pigiama, seduto su una sedia di legno in veranda. Il cielo sembrava uno pennellata di smalto azzurro mentre il sole illuminava magicamente i colori di una primavera ormai pronta a lasciare il posto all’estate. I due erano particolarmente legati, l’amore per il calcio, poi, aveva cementato ulteriormente un rapporto già luminoso. Fu proprio il piccolo Luca a vedere per ultimo in vita Agostino. Con il solito sguardo rassicurante e pieno d’amore, complice quella bella giornata di sole, il genitore gli chiese di “marinare” la scuola per restare a casa con lui… Un’ultima disperata richiesta d’aiuto? Forse sì, forse no… Ma come avrebbe mai potuto riconoscerla un ragazzino di 11 anni con cui la sera prima il padre aveva scherzato e giocato come sempre? Sarebbe stato complicatissimo per chiunque leggerci qualcosa di diverso in quell’invito; praticamente impossibile per un bambino… Cosa rispose e cosa accadde successivamente lo lascio raccontare a Luca in queste pagine. È lui, infatti, il personaggio su cui L’Eco ha scelto di soffermarsi in questo numero natalizio.

Oggi quel bambino ha quasi trent’anni, una laurea in Giuri-sprudenza, una moglie e tanti sogni nel cassetto. Uno di questi l’ha realizzato recentemente pubblicando un bellissimo volume dal titolo Il manuale del calcio (Fandango libri, Roma, pp.269, 15,00 euro). Un vero e proprio inno al calcio pulito scritto da suo padre per lui. Luca ha riordinato appunti e bozze – i primi risalgono al 1985 – dando vita a quello che oggi potrebbe essere definito il “testamento calcistico” di un grande capitano lasciato in eredità alle future generazioni. Oltre alle tecniche di allenamento e le tattiche di gioco, dove trovano spazio anche le immagini dei bozzetti originali degli schemi, i materiali di allenamento con gli esercizi quotidiani, i disegni delle traiettorie dei calci d’angolo e dei rigori, eccetera, il volume è infarcito di richiami continui alla lealtà, all’etica sportiva e al rispetto dell’altro, valori che hanno sempre contraddistinto l’esistenza di Agostino. Un libro gradevole ed estremamente utile a chi si avvicina al gioco del calcio, compresi allenatori e dirigenti.

Il lavoro di Agostino, però, ha dato anche altri frutti. Luca e la sua famiglia, infatti, hanno deciso di devolvere i proventi delle vendite all’associazione Calcio-sociale, una meravigliosa realtà che da otto anni opera nel quartiere Corviale, alle porte di Roma, spendendosi per il recupero di ragazzi con difficoltà economica familiare, di integrazione sociale o di handicap fisico. Il tutto attraverso una particolare metodologia sportiva. Un percorso illuminante e vincente tanto che la Asl e il Tribunale penale di Roma l’hanno ritenuto capace di donare beneficio a particolari categorie disagiate della società, come i portatori di handicap mentale, i carcerati e le persone in trattamento da tossicodipendenza. Attualmente sono riusciti a coinvolgere oltre 500 tesserati di tutte le età con le relative famiglie. In particolare il ricavato contribuirà alla ristrutturazione del Campo dei Miracoli, un luogo dove l’integrazione non rappresenta una parola vuota e asettica bensì un qualcosa di tangibile e arricchente. Di “miracoli”, intanto, quel campo di Corviale ne ha già fatti parecchi e Agostino senza dubbio ne sarebbe andato fiero. A lui, infatti, “l’altro” non ha mai fatto paura o suscitato disinteresse, non ha mai atteso più di un respiro prima di tendere la mano a chi ne aveva bisogno.

Luca, che mi ha chiesto di dargli del tu anche nell’intervista, arriva all’appuntamento con qualche minuto di ritardo. Si scusa immediatamente mentre si toglie guanti e casco. Ci mancherebbe, gli rispondo, il traffico della capitale è conosciuto in tutto il globo terrestre e forse anche oltre… Ci sistemiamo allora in una stanza del quartier generale della Fandango dove sono tutti molto gentili, a cominciare da Francesca Comandini dell’ufficio stampa. Aprire la scatola dei ricordi in una vicenda così dolorosa come quella vissuta da Luca, non è cosa semplice, né da tutti. Ma lui è speciale, proprio come suo padre. Così, pur con qualche lacrima imprigionata a fatica negli occhi arrossati, risponde a tutte le domande con grande disponibilità. D’altra parte per lui “Ago” – lo chiama così suo padre – dopo quella mattina non è mai andato via. È sempre lì, nel suo cuore, pronto a stringergli la mano ogni qualvolta ne sente il bisogno.

Luca, cosa ti ha spinto dopo diciotto anni a riordinare gli appunti di tuo padre e pubblicarli in un libro?

In realtà è stato più il caso che la volontà, abbiamo trovato il manuale quasi come così lo si può leggere da pubblicato. Noi sapevamo che Ago aveva lavorato per anni a degli appunti sul manuale del calcio e ne conoscevamo una versione che però era parziale. Sapendo quanto era meticoloso nel suo lavoro e quanto teneva a questa opera nessuno di noi si sarebbe mai permesso di metterci le mani. Trovare però una versione di fatto conclusa ci ha spinti a portare a termine quello che era un suo sogno, cioè condividere con i bambini la sua esperienza non solo e soltanto di calciatore professionista quanto principalmente di uomo di sport.

Quanto ti è costato frugare tra le sue cose?

Abbastanza, anche se ormai tutte le volte che devo e ho la fortuna di parlare di Ago non tocco più una ferita…

In che senso?

A Roma trovarsi a parlare di lui per me è una cosa quasi quotidiana e negli anni questo mi ha fatto avvertire molto meno la sua assenza. E siccome io e la mia famiglia ci siamo sentiti sempre debitori nei confronti dell’affetto dimostratoci negli anni dai tanti tifosi ci è sembrato giusto di provare a saldarlo, in parte, attraverso questo libro.

Nella bellissima lettera indirizzata a tuo padre e pubblicata nella prefazione del libro L’ultima partita di Giovanni Bianconi e Andrea Salerno, tu con la rabbia di chi ha visto svanire gli anni più belli del rapporto padre e figlio, osservi: “Che gesto estremo insensato, imbecille e allucinante hai fatto quel 30 di maggio Ago…”. Sei ancora arrabbiato con lui?

Credo che come tutte le decisioni che si subiscono inevitabilmente non ci si vuole abituare mai…, soprattutto quando c’è un grande rapporto di amore come può essere quello tra un padre e un figlio o tra due persone di famiglia. Penso che in quella lettera esprimessi non solo il mio malessere ma anche quello di tutta la mia famiglia che si è trovata dinanzi a un gesto che per tutti resta a tutt’oggi incomprensibile, soprattutto se ripensiamo alla natura di Ago. Le parole con cui ho definito in quella lettera il gesto di Ago le sottoscrivo assolutamente ancora oggi…

Il tempo trascorso da quella tragica mattina è riuscito in qualche modo a suggerirvi qualche elemento in più nel tentativo di dare un perché a quel gesto?

Una spiegazione nel senso stretto non ce la siamo dati. Da un punto di vista umano, invece, abbiamo accettato il fatto che in un momento di follia – perché una persona che si toglie la vita vive inevitabilmente un momento di follia – sia giunto a un simile epilogo. Solitamente non si riesce mai a fare pace con se stessi quando accade una cosa del genere, però si va avanti. E in questo il rapporto con i tifosi, con le persone che davvero non hanno mai smesso di volere bene ad Ago è una cosa bellissima. Ti fa capire, nonostante quel 30 di maggio, che la parte vera che esisteva di tuo padre inizia dalla sua nascita e arriva fino al 29 maggio 1994…

Quel 30 maggio, invece, cosa rappresenta?

Un pezzo della sua e della nostra vita con cui dovremo sempre fare i conti. Di certo non rappresenta interamene Agostino Di Bartolomei.

Che ricordi hai di quella tragica mattina?

Ne ho tanti, all’epoca avevo 11 anni e sono stato l’ultima persona a vedere mio padre vivo… Ricordo che era una giornata meravigliosa, quella mattina c’erano dei colori pazzeschi e stavo uscendo per andare a scuola. Mio padre mi invitò a “marinarla” visto che ormai l’anno scolastico stava per terminare e in più era una bellissima giornata di sole. Mi chiese di restare insieme a lui…

E tu cosa rispondesti?

Che non potevo in quanto avrei dovuto partecipare a una specie di corso… Non ricordo bene ma comunque si trattava si una sciocchezza, una banalità…

Lo vedesti teso o in qualche modo turbato in quei frangenti?

Sinceramente non saprei rispondere, anche perché credo che difficilmente un bambino di 11 anni riesca a stabilire bene il tratto psicologico del proprio genitore in una mattina assolata e colorata come quella…

Poi cosa accadde?

Ricordo tutto il resto, la ressa, le persone in casa e anche una serie di particolari legati a mio padre, a mia madre e a mio fratello. Purtroppo ricordo tutto…

Il fatto che quella mattina tuo padre cercasse di persuaderti a non andare a scuola per restare con lui…

No, non mi sono mai colpevolizzato per non essere rimasto con lui…

Non sono riuscito a terminare la domanda…, non volevo assolutamente chiederti questo. Mi domandavo come fosse possibile collegare quella sua richiesta con il tragico gesto compiuto invece poco dopo. Non poteva essere premeditato…

Ho sempre creduto che chi ha il coraggio di suicidarsi non lo fa in maniera premeditata, o meglio, si può premeditare una serie di atti ma nell’attuazione pratica devi avere quel momento di follia. A mio avviso, infatti, nessuno realizza consciamente di togliersi la vita. Ci vorrebbe una forza tale che non riesco nemmeno a immaginare. Cioè preparare tutto e arrivare esattamente al limite tra te e la fine conservando, nonostante tutto, la forza di tirare il grilletto o di scavalcare una finestra o il parapetto di un ponte… In quel momento è inevitabile che ci sia un lampo di follia…

Che padre era Agostino?

Un padre molto dolce e presente quando ovviamente i suoi impegni lavorativi glielo consentivano. Avevo la fortuna di passare con lui molto tempo quando era impegnato con i bambini delle scuole calcio. Riuscivo a condividere con lui le esperienze lavorative, ma non era solo un’occasione per imparare tante cose…

Niente a che vedere, quindi, con quanti lo dipingevano come una persona introversa,  dal carattere chiuso…

È un’etichetta che spesso viene appiccicata ad Ago e probabilmente è legata al fatto che quelle persone che l’hanno conosciuto lo ricordano come una persona estremamente riservata. Sul campo tra i ragazzini o a casa con le persone che amava era una persona assolutamente diversa. E in questa direzione probabilmente il libro gli restituisce molto. L’idea di riferirsi a dei ragazzi lo fa esprimere come un fratello maggiore…

In un biglietto ritrovato nella tasca di una giacca dopo il suicidio, tuo padre aveva scritto: “Mi sento chiuso in un buco…”. A cosa si riferiva? Forse al buco in cui lo aveva relegato un mondo del calcio sempre più egoista e insensibile?

Sinceramente non ce lo siamo mai chiesti, anche perché non è stata mai nostra intenzione affibbiare delle responsabilità ad altri… Se ce ne sono – e credo che qualcosina ci sia visto che non ci siamo resi conto della situazione – riguardano esclusivamente la nostra famiglia. Ab-biamo sempre pensato che fosse più importante capire cosa magari non eravamo riusciti a dargli…

E che risposta vi siete dati?

Che non siamo stati in grado di capire che un ragazzo a 35 anni, quando smette di fare un qualcosa di così particolare, quale appunto può essere un’attività sportiva professionistica, si trova a un livello tale di forza e di energia mentale e fisica, che l’idea di fare il pensionato a vita molto probabilmente lo porta a uno stato di depressione latente. Non voglio fare esempi, ma ci sono stati tanti altri calciatori che purtroppo hanno sperimentato lo stesso problema di Ago. Ad alcuni di loro, ringraziando il cielo, è andata meglio visto che alla fine sono riusciti a sopravvivere… A mio avviso in quei casi si rischia di entrare in una spirale di autodistruzione che può essere magari quella dei vizi oppure della depressione. In questa direzione, dunque, forse non siamo stati in grado di capirlo. Comunque se si tratta di una depressione “vera” è molto complicato riconoscerla.

L’affetto dei tanti tifosi e della gente comune tributato ad Agostino e alla tua famiglia è riuscito in qualche modo a lenire il dolore?

Sicuramente l’affetto che c’è stato nei confronti di Ago e che poi si è riverberato su di noi, è riuscito a farci vivere la sua scomparsa come una parentesi finale della vita. Cioè non pensare a un suicida di cui non si deve parlare bensì a una persona che ha trascorso con noi momenti meravigliosi e che ricordiamo sempre con piacere. Il grande amore dimostratoci quasi quotidianamente dai tifosi ha contribuito a costruire un ricordo collettivo di Ago. Un qualcosa di bello che non ha nulla a che fare con quel 30 maggio…

“Nel calcio – scrive tuo padre – si vince insieme, la squadra e chi le sta intorno: riserve, massaggiatore, allenatori, eccetera – siano essi professionisti o semplici amatori – e aiutarsi è il primo dovere di tutti, dentro e fuori dal campo, sempre”. Ma una volta smessi gli scarpini, nel momento del bisogno il mondo del calcio ha provato ad aiutare Agostino oppure si è girato dall’altra parte?

Non saprei…, come dicevo prima non è stato mai nostro interesse dare responsabilità ad altri. Detto questo, credo comunque che il mondo del calcio oggi non aiuti, come invece potrebbe fare concretamente, i giovani afflitti da varie problematiche legate alla crescita.

A cosa ti riferisci in particolare?

Ai tantissimi ragazzi che vivono le periferie del grande calcio. Troppo spesso, purtroppo, il calcio di serie A è veicolo di un messaggio che non è abbastanza positivo, per non dire negativo…

In questa direzione il significativo Decalogo del calcio che apre il libro è una sorta di “testamento comportamentale” lasciato da tuo padre alle future generazioni. A vedere quello che accade oggi, però, assomiglia a un’utopia…

Sicuramente dal calcio di un certo livello arrivano tanti esempi negativi, compresi quelli di alcuni tifosi. Esiste però una grandissima fetta di calcio non professionistico dove il decalogo di Ago viene applicato.

In pratica vive un’attuazione più complicata in una parte minoritaria del mondo del calcio che però, ahinoi, è quella più nota…

Esattamente. Se continuiamo però a raccontarci che il calcio di serie A è solo composto di episodi negativi non facciamo un buon servizio. Specialmente a chi quotidianamente prova a fare qualcosa di diverso.

Tra le negatività del nostro calcio professionistico c’è sicuramente la vicenda di Simone Farina, l’ex difensore del Gubbio che denunciò una partita truccata e che ha dovuto smettere di giocare a calcio. Nessuna squadra gli ha infatti offerto un posto e lui è stato costretto a lasciare l’Italia per allenare in Inghilterra i giovani calciatori dell’Aston Villa. Quale riflessione ti suscita questa triste pagina del calcio italiano?

Mi auguro che Farina possa avere al più presto un’opportunità per tornare a lavorare in Italia. Penso alla Figc o ai club di serie A che potrebbero utilizzarlo come fa attualmente l’Aston Villa. Sicuramente è una grande occasione persa dal nostro paese, anche a livello comunicativo. Nello stesso tempo, però, sta a dimostrare come sia ancora molto forte nel calcio, nonostante gli interventi della magistratura, un meccanismo di ghettizzazione per cui chi parla viene isolato. Come funzioni questo meccanismo non lo so, anche perché non mi sono mai occupato di calcio, ma quanto è avvenuto a mio modo di vedere è assolutamente allucinante…

Il manuale di tuo padre andrebbe inserito come libro di testo in tutte le scuole d’Italia. Ma quanto è difficile far camminare a braccetto sport ed etica?

Meno di quello che si pensa. Baste-rebbe qualche buon esempio in più e il fatto che in questo nostro paese, dopo una trentina di anni di volgarità imperante, si provasse a capire che una via di sviluppo, anche economico, potrebbe essere legata agli esempi positivi. In tutti gli altri paesi equiparabili al nostro, il calcio e lo sport in generale riescono ad avere tanto più successo, anche commerciale, quanto più si legano a immagini positive.

In linea con l’animo limpido di Agostino, tu e la tua famiglia avete deciso di contribuire con i proventi di questo libro alla costruzione di un centro sportivo dove i ragazzi con problemi e disabilità psico-fisiche possano far sport insieme agli educatori del Calciosociale…

Ago cresce nell’oratorio, sia umanamente che calcisticamente fino a quando non si trasferisce alla Roma. Con il suo quartiere e la sua gente ha sempre mantenuto un rapporto vivo e nello stesso tempo molto forte. Ago è veramente una persona normale e semplice, è sempre stato così. Dovendo allora “ripagare” in qualche modo l’affetto dimostratoci da questa città, abbiamo creduto che forse una cosa che ad Ago sarebbe piaciuta poteva essere quella di legare il libro a un’iniziativa come quelle che lui aveva avuto modo di patrocinare quando ancora giocava a pallone. Quando ritornava al suo oratorio o quando andava con i ragazzi a fare calcio in luoghi dove c’era soltanto uno spiazzo e come porte si utilizzavano due sassi… E  la bellissima attività di Calciosociale è qualcosa che si avvicina molto all’oratorio degli anni settanta della Garbatella. Il quartiere di Corviale, dove operano i volontari di Calciosociale, è un luogo ai margini di Roma dove esiste anche un problema con i ragazzi a causa di una discreta criminalità. Ci sono però questi educatori meravigliosi che da otto anni fanno un qualcosa di particolare.

Cioè?

Hanno modificato le regole del calcio e, in un territorio che è stato confiscato alla criminalità organizzata, i volontari si sono impegnati nella ristrutturazione di un centro sportivo dove praticare calcio con i ragazzi, ragazze, genitori e con tantissime persone che hanno problemi di disabilità fisica e psichica. Qui si dà un vero valore alla parola integrazione che non è la semplice tolleranza ma un qualcosa di diverso e più profondo.

Ovvero?

È la commistione di sensibilità, capacità, doti fisiche diverse. Loro si sono trovati nella felice condizione di fare qualcosa che a questa città mancava. I campi e la palestra andavano ristrutturati e resi idonei per far praticare lo sport a tutti i ragazzi. Ecco, allora, che abbiamo deciso di legare queste due cose.

È un calcio con regole particolari…

Proprio così, le squadre, ad esempio vengono sorteggiate in base a quelli che sono i coefficienti di ognuno. Ad esempio a Totti viene dato un 10 e a me invece 1, quindi le squadre sono costruite affinché tutte più o meno si avvicinino al 5. Inoltre un giocatore non può segnare più di 3 gol in una partita mentre i rigori li deve battere il meno bravo. In pratica viene costruito un meccanismo regolamentare in grado di garantire una sostanziale equiparazione. Un’altra cosa bella, che non è scritta nel regolamento ma che ormai è diventata una consuetudine giuridica, è che nel torneo le squadre che riposano a turno vanno a fare il bucato di maglie e casacche, oppure provvedono al pasto degli educatori. Esiste un meccanismo di fratellanza e comunione che a mio avviso è quello che dovrebbe servire per ricordarsi che lo sport, l’etica e l’educazione sono concetti che si applicano magari in un campo di gioco, in una palestra ma sono validi anche quando ad esempio si va in macchina o si cammina per strada.

Nel Campo dei Miracoli di Corviale ci sono tante storie positive…

Assolutamente sì, come ad esempio genitori e figli che dopo tanti anni di silenzio si sono rincontrati e insieme corrono dietro a un pallone… Gli organizzatori, inoltre, hanno da sempre promosso attività sportive in nome dell’integrazione religiosa. Ci sono molte esperienze che andrebbero studiate perché nella loro semplicità hanno costruito una partecipazione effettiva incredibile. È un’esperienza che andrebbe incentivata e sviluppata il più possibile. Attualmente le attività del Calciosociale sono presenti a Roma, a Montevarchi, a Napoli, nel quartiere Scampia, a Cagliari nel quartiere di Sant’Elia e a Carsoli, in Abruzzo. Ogni anno, poi, si organizzano gemellaggi e campi estivi per condividere insieme questa straordinaria esperienza.

A tuo padre sarebbe piaciuta molto…

Sì, immagino tanto. Sarebbe stato uno di quei luoghi in cui gli sarebbe sicuramente piaciuto insegnare.

Allo stadio ci vai?

Poco, circa una volta al mese.

Come mai?

I costi sono proibitivi, ormai è diventato un lusso e il rapporto qualità-prezzo è veramente assurdo.

Che ne pensi di Zeman e delle sue “battaglie”?

Come scrive Ago, al calcio si vince segnando un gol in più, così com’è la filosofia del tecnico boemo. Inoltre a mio avviso le battaglie di Zeman sono giuste, lui è una persona che ha il coraggio di parlare e forse, per lo stesso meccanismo di cui è rimasto vittima Farina, si ritrova da solo a combattere contro un certo sistema che lui consoce e che noi tutti avvertiamo. Ma che ancora non si riesce a sconfiggere.

Ti manca tanto Agostino?

Sì, proprio tanto. Manca a tutta la mia famiglia ma credo anche a tutte quelle persone che in questi anni, in maniera autonoma e generosa, ci hanno fatto sentire il loro affetto.

Come sarebbe stato oggi Luca Di Bartolomei con Agostino ancora in vita?

Forse più emotivo ed estroverso visto che queste cose spesso ti portano a essere più posato e riflessivo.

La fede ti è stata d’aiuto questi anni?

La mia fede non è salda, non lo è mai stata e non credo lo sarà mai. Sono un credente con i dubbi… Sicuramente alcune volte mi è stata d’aiuto, altre invece no…

Se d’incanto oggi ti ritrovassi davanti tuo padre, cosa gli diresti?

Probabilmente non gli direi niente…

Perché?

A volte quando si ama non c’è bisogno di dire niente…

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