IL SOFFIO DI FRANCESCO SUI VESCOVI

LA RIVOLUZIONE È ARRIVATA ALLE PORTE DELLA CEI
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 3 Luglio 2014

APPARE EVIDENTE CHE LA CHIESA ITALIANA CHE SI STA RIDEFINENDO È ASSAI DIVERSA, NEGLI UOMINI CHE LA COMANDANO E NELLE ISTITUZIONI CHE LA GOVERNANO, DA QUELLA PRECEDENTE E CHE HA GOVERNATO LUNGO GLI ULTIMI TRENTA ANNI. DA OGGI I PRESULI SI CONTANO, DISCUTONO, DANNO BATTAGLIE PER LE LORO IDEE Due viaggi apostolici in Italia per papa Francesco. Il 21 giugno a Cassano all’Ionio e il 5 luglio a Campobasso e Isernia. Il sud dei sud. L’Italia che non ce la fa ad andare avanti, la disoccupazione, la delinquenza, le infiltrazioni mafiose, un territorio che combatte ogni giorno la sua “buona battaglia”. Francesco sceglie le periferie esistenziali come rotta geografica del suo annuncio evangelico per le strade del mondo. A Roma, ad esempio, non è un caso che fino a ora abbia incontrato il popolo dei fedeli nelle parrocchie più periferiche e più lontane dal “centro” della città. Quasi una sfida, o un programma definito per il suo pontificato.

Ma non sfugge agli occhi di credenti e non credenti che la scelta di Cassano all’Ionio e, in particolare, di Campobasso, rappresentino una paterna attenzione a due vescovi, oggi molto vicini allo “stile” di papa Francesco, e cioè monsignor Nunzio Galantino e monsignor Giancarlo Maria Bregantini. L’uno, nuovo segretario generale della Cei scelto proprio dal papa per cambiarla, l’altro, il vescovo che si è sempre distinto, in particolare nella sua ex diocesi di Locri-Gerace, nella lotta alla corruzione e alle mafie, rappresentando per molti giovani del sud un vero uomo di Dio da seguire.

Già, Galantino e Bregantini, gli alfieri di un cristianesimo di frontiera che non ha paura del dialogo con il mondo e che si sporca le mani nella pasta del mondo. E non si può non pensare a queste due realtà ecclesiali senza, in qualche modo, fare un passo indietro e interrogarsi seriamente su ciò che sta accadendo all’interno della chiesa italiana, per volere del papa in piena rivisitazione del suo essere “istituzione”.

La recente 66a Assemblea generale della Cei ha avuto la primizia della prolusione di apertura letta proprio da Francesco, in quanto primate d’Italia. Il soffio di papa Francesco è sceso sui vescovi italiani come una carezza dolce in una giornata di maggio quasi autunnale. “Seguitemi”, ha voluto dire con il suo stile bonario. Come Pietro seguì Gesù. Seguitemi. Non abbiate paura. Così, chi cercava nelle parole del papa simboli di politica ecclesiale da poter offrite all’uditorio affamato di guerre tra prelati, ha trovato invece la saggezza del padre che consola, consiglia, sprona.

Un papa Francesco insolitamente “spirituale” quello visto all’Assemblea generale della Cei. Prodigo di consigli spirituali, perché in fondo fare il vescovo è mettersi a disposizione del proprio popolo, quel popolo di Dio che sa riconoscere il pastore buono, la chiesa bella. Non reclama statuti da rinnovare il papa, anche se il presidente “uscente” Bagnasco ne accenna nel saluto di apertura. Spetta in ogni caso ai vescovi italiani decidere sul futuro della chiesa italiana. Non dice cosa debbano fare nel dialogo con la società e con la politica. Non si impiccia di questioni che non sono di sua competenza. Eppure, quel “seguimi” è il più importante dei segni che si potevano ascoltare. Un “seguimi” che ha la suggestione della primizia di Pietro e la misericordia di chi si affida al padre.

La carezza del papa così è scesa lieve e indolore, eppure fitta e condensata di messaggi forti. Una chiesa di carità senza verità non va da nessuna parte. Seguire il regno significa vivere decentrati rispetto a se stessi. L’unità nella collegialità è l’esercizio primario della profezia. La Cei deve essere uno spazio di comunione. La mancanza di unità è il peccato più grande della comunità ecclesiale. Le chiacchiere, le bugie, le lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgere, la gelosia, l’invidia: “quanto è brutto il cielo di chi è suggestionato da se stesso”. Ritornare dunque all’essenziale, non alle adunate di piazza, sembra suggerire Francesco. “Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi”. E poi ancora: i disoccupati, i migranti, la famiglia (tutta la famiglia, anche chi vive perché ferito negli affetti), l’abbraccio con l’umanità stanca e sola ma bisognosa di amore.

Una carezza dolce, sulle orme del vangelo. La scialuppa di salvataggio per una chiesa italiana orfana di valori non negoziabili e adunate di piazza, pienamente inserita in un tempo di riconciliazione e nuova speranza.

La carezza, non il bastone. Ma una carezza che rinfresca e si immerge dentro il volto di ogni prelato e laico, dove dimorano pianto e sorriso.

La rivoluzione francescana è arrivata, dunque, alle porte della Cei. I due terzi dei vescovi italiani, dopo un dibattito appassionato che ha visto diviso in due l’episcopato italiano (e già questa è una notizia) tra i fautori dell’elezione diretta, 104 voti, e gli altri (103) che volevano che a decidere fosse solo e unicamente il papa, hanno optato per la terna di nomi da presentare al papa. Il meccanismo è tale e quale a quello dell’elezione del presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana. Terna di nomi che comunque deve, per la parte di ogni candidato, raggiungere la soglia del 50 per cento dei consensi. In definitiva, il papa sceglie all’interno di una terna di nomi che abbiano avuto il consenso popolare, ma se non si tratta di un’elezione diretta, poco ci manca.

Che succede ora? A novembre verrà stilato il regolamento, e verrà eletto il nuovo presidente della Cei con il nuovo sistema. Appare evidente che la chiesa italiana che si sta ridefinendo è assai diversa, negli uomini che la comandano e nelle istituzioni che la governano, da quella precedente e che ha governato lungo gli ultimi trenta anni.

Da oggi i vescovi si contano, discutono, danno battaglie per le loro idee. Da oggi il popolo di Dio sa che il futuro della sua chiesa d’Italia è in mano non a logiche da sottobosco curiale ma alla vitalità chiara e trasparente di una forma di ecclesia che ha nella democrazia e nella verità la sua forza primordiale.

Siamo entrati, da oggi, nel pieno del pontificato di Francesco. Il vangelo vive per le strade dell’uomo e non si nasconde nelle sagrestie. E siamo solo all’inizio.

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