IL SENSO UNICO DI UN VICOLO CIECO

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 19 Luglio 2015

Non c’è pluralismo senza dissenso. Per dirla con Walter Benjamin, la sfera pubblica ha sempre bisogno di conflitto, di opposizione. Altrimenti subentra quella che Tocqueville definiva “la dittatura della maggioranza” capace di eliminare il pensiero critico con molta più incisività di ogni tirannide. Un certo conformismo nell’adagiarsi sul carro dei vincitori, come dire, è una tendenza quasi naturale, ma non può esserlo per i giornalisti se non vogliamo volontariamente votarci alla sterilità, ossia all’incapacità di far emergere i punti critici, i punti di frattura in grado di tenere desta l’opinione pubblica. In altri termini: sposare il conformismo. Un lusso che non ci possiamo permettere soprattutto in una regione come l’Abruzzo che ha bisogno di una stampa sempre attenta alle questioni del palazzo e che, purtroppo, sta lasciando sul terreno morti, feriti e contusi con la chiusura di redazioni e con l’inarrestabile precarizzazione della professione. Tra l’altro, tutto questo nell’assoluta indifferenza delle pubbliche istituzioni che pure avevano manifestato un qualche interesse nel venire in aiuto a un settore che langue per cause strutturali, ma anche per uno strumentale atteggiamento da parte di editori, che la nostra regione considera marginale.

Ci hanno fatto illudere che si potessero attivare meccanismi di sostegno, in questa delicata fase di ristrutturazione complessiva del sistema dell’informazione in Abruzzo e non solo. Lo ha fatto, molto bene, invece, il confinante Molise con una legge sull’editoria con una dotazione finanziaria di tutto riguardo per una regione di ridotte dimensioni. Lo avevano già fatto altre regioni e talaltre si apprestano a farlo. Ma l’Abruzzo no. C’è da domandarsi qual è la ragione di fondo di questo repentino dietrofront da parte della regione sulla questione della legge sull’editoria. Non è un ripensamento perché hanno o starebbero approvando una leggina sulle borse-lavoro con uno stanziamento di 19 mila euro? Suvvia, siamo seri. Vorrebbe dire non aver capito quello che sta avvenendo nel mondo dell’informazione. Nemmeno il più sprovveduto degli amministratori pubblici (e ce ne sono con stipendi che vanno ben oltre i 10 mila euro al mese netti, altro che 5 euro lordi ad articolo per i giovani precarissimi giornalisti collaboratori di importanti testate) potrebbe sostenerlo. E allora? Credo, invece, che si voglia continuare con il collaudato meccanismo delle elargizioni e delle sovvenzioni pubbliche ai “meritevoli”. A coloro (giornalisti o testate editoriali) che asseconderebbero “la visione del mondo” dell’attuale maggioranza regionale, del suo governatore e di tutto quell’apparato politico che stenta a capire che la sfera pubblica deve essere un luogo di dissidio, di dibattito, di confronto e di scontro per la vitalità stessa della democrazia. Pretendere il “pensiero unico” (in questo caso con il rovesciamento egemonico a favore della politica) è un’illusoria aspirazione che potrebbe favorire solo un consenso forzato e non spontaneo.  Un consenso artificiale che avrebbe vita breve. Non darebbe nemmeno il tempo per il concretizzarsi di qualche personale velleità politica.

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