IL SEME BUONO HA BISOGNO DI TEMPO…

Il pontefice, che vede nelle parole misericordia e tenerezza le basi per un percorso di umanità buona, sta imprimendo una svolta alla storia della Chiesa. Dal profondo del suo essere. Tornare indietro, dopo, sarà più difficile per tutti…

Durante le Congregazioni generali che i cardinali organizzarono, giusto 8 anni fa prima di eleggere il nuovo papa, vennero alla ribalta alcuni argomenti “forti” di cui la Chiesa avrebbe dovuto subito occuparsi. Bisogna capire anche il contesto storico. La Chiesa soffriva, soprattutto in quei giorni, di Vatileaks, la serie di scandali nati a seguito della diffusione di informazioni riservate sulla Città del Vaticano e in particolare dei documenti rubati dalla scrivania di papa Benedetto XVI. In più, già da anni, era preminente il tema della pedofilia all’interno del clero, e la questione della trasparenza delle finanze vaticane.

I cardinali erano stati chiari nel loro mandato al futuro papa. Occorreva una riforma, soprattutto della Curia vaticana. Radicale, di pulizia, di trasparenza.

Francesco, all’inizio del suo pontificato, iniziò subito questo tentativo di riforma. Senza entrare in dettagli tecnici che fanno impallidire anche gli esperti di “cose” vaticane, papa Francesco, in un continuo work progress che continua ancora oggi, ha dato slancio alle riforme di cui sopra.

Sulla finanza e sull’economia ha investito gran parte dei suoi sforzi cercando di normare l’intera struttura vaticana che si occupa di ciò, semplificando alcuni Uffici e scegliendo uomini di chiara fama al loro vertice, nonostante gli scandali continuino ancora ai giorni nostri, e liberando lo Ior, la banca vaticana, da sospetti sulla gestione “non trasparente” del suo operato che appartengono ormai al passato. Sul problema della pedofilia ha più volte ascoltato in maniera diretta la voce delle vittime e spronato le Conferenze episcopali del mondo ad abbandonare atteggiamenti a difesa del clero ed emanato norme e decisioni di contrasto agli abusi sui minori.

Sulla riforma della Curia, avviata subito nel 2013 con il famoso Consiglio di cardinali (prima C8, poi C9, ora C6), ancora non c’è un vero e proprio testo definitivo, ma di fatto ha iniziato a materializzarsi attraverso piccoli aggiustamenti e accorpamenti di dicasteri. Molto spazio al tema dell’evangelizzazione e della missione, meno ai dicasteri “burocratici”.

In sintesi: più vangelo, meno u

ffici.

Sul lato, invece, molto più sensibile, del ruolo delle donne nel futuro della Chiesa e del celibato dei preti, il Papa si è spinto molto sulla volontà di aperture (facendo arrabbiare i tradizionalisti), ma nello stesso tempo ha confermato nei fatti che non ci sono cambiamenti forti, almeno per adesso, specie dopo il Sinodo per l’Amazzonia (facendo arrabbiare, in questo caso, i progressisti).

In realtà, la vera riforma di papa Francesco è quella spirituale. È qui il centro del suo pontificato. Già da quando si affacciò al balcone di piazza San Pietro il giorno dell’elezione, e quel “pregate per me” che lo fece diventare immediatamente “simpatico” al mondo intero. Un papa che sa parlare con il popolo dei fedeli ma anche con i lontani, gli agnostici, chi non crede. Un pastore che vede nelle parole misericordia e tenerezza le basi per un percorso di umanità buona che mette insieme vangelo e speranza. E un papa, va detto, che ha scelto una piccola stanza dove vivere al posto del Palazzo apostolico dove, però, continua a ricevere delegazioni e ambasciatori.

Questa è la vera riforma di Francesco. Celebri le sue invettive contro il funzionalismo all’interno della Chiesa, e verso i preti che devono avere l’odore delle pecore e non pensare esclusivamente al fare carriera, a una sorta di disperata ricerca di una “funzione” all’interno della Chiesa. Allo stesso tempo il suo grido che denuncia le povertà e le emarginazioni è stato sentito da tutto il mondo. Da quella prima volta dove il Papa su un barcone a Lampedusa ricordò i migranti morti per desiderio di libertà, o quando a Cagliari si mise in ascolto dei problemi del mondo del lavoro.

Il manifesto programmatico di papa Francesco è senza dubbio l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la “bibbia” del popolo di Dio che sa affidarsi allo sguardo misericordioso del Vangelo.

La Chiesa che guarda papa Francesco è una Chiesa come “l’ospedale da campo dopo la battaglia”, nella quale occorre abbracciare, accarezzare, dialogare, perdonare, suggerire e non comandare. Così con l’altra esortazione, l’Amoris laetitia, a conclusione del Sinodo sulla famiglia, con tutto il capitolo della riammissione possibile ai sacramenti da parte dei divorziati risposati e le relative polemiche che ci sono state, è entrato nel cuore vivo dei problemi e delle domande della gente comune. E, ancora, le encicliche Laudato sì, la nuova visione dell’ecologia integrale in un mondo che cambia, e l’ultima Fratelli tutti, un altro accorato appello a una fraternità che può essere la parola giusta per abbracciare l’umanità ferita e disorientata.

Insomma, papa Francesco, più che di organigrammi, pare sia esperto di sorriso e tenerezza, e di empatia verso un popolo di fedeli che sta attraversando, come mai nella storia, una crisi geopolitica che cambia i paradigmi dello stare insieme.

La sua riforma spirituale, che tocca il cuore del Vangelo e non le funzioni della Chiesa istituzione, è una riforma che forse ci riguarderà tra qualche anno. Il seme buono, come insegna il Vangelo, ha bisogno di tempo per crescere e diventare un albero che porta frutti.

In ogni caso, il papa venuto dall’Argentina sta imprimendo una svolta alla storia della Chiesa. Dal profondo del suo essere. Tornare indietro, dopo, sarà più difficile per tutti.