IL SANTO CHE SI FECE “AIUTARE” DAL DEMONIO…

Il santuario di San Gerardo Maiella Materdomini
By Domenico Lanci
Pubblicato il 30 Settembre 2017

Il religioso, essendosi perso nel bosco durante una missione, intimò al diavolo che gli si era palesato minacciandolo, di condurlo a destinazione… E così fece… La sua breve ma intensa vita è costellata di miracoli

Caposele è un paese dell’avellinese situato in un’area montuosa e paesaggistica. È celebre anche per il suo santuario “Materdomini”, dove si venera il corpo di san Gerardo Maiella, religioso della congregazione dei redentoristi, fondata da sant’Alfonso Maria de’ Liguori.  Gerardo nasce a Muro Lucano (PZ) il 6 aprile 1726 e muore a Caposele (AV) il 16 ottobre 1755 all’età di 29 anni. I suoi genitori Domenico e Benedetta Galella erano persone semplici e laboriose. Il padre faceva il sarto ma morì presto. La vita di Gerardo è stata breve, intensa e costellata di miracoli. La gente lo chiamava il “taumaturgo”. Fin da ragazzo voleva consacrarsi al Signore. Bussò alla porta dei cappuccini, ma non lo presero per motivi di salute. A 22 anni poté conoscere alcuni redentoristi che svolgevano una missione al suo paese. Quei sacerdoti, incantati dalla serietà e candore di quel giovane, nonostante una certa perplessità per la fragile salute, lo accolsero. La madre, però, non voleva. Gerardo, pur di entrare in convento, scappò di casa calandosi da una finestra con un lenzuolo. Alla madre lasciò un biglietto su cui scrisse: “Mamma, perdonami, vado a farmi santo”. Fin dal suo ingresso tra i redentoristi, si distinse per un profondo spirito di penitenza, di preghiera e per una giovialità d’animo ineguagliabile. Il 16 luglio 1752, festa del Santissimo Redentore, dopo aver compiuto l’anno di noviziato emise i voti di povertà, castità, obbedienza e quello tipico dell’istituto, consistente nell’evangelizzare gli abbandonati e i poveri. Scelse la vita di consacrazione non per diventare sacerdote ma religioso fratello. Nei conventi dove i superiori lo mandavano, preferiva gli uffici più umili. Tutto faceva con gioia. In conformità al carisma dei redentoristi era diventato l’amico dei poveri e dei contadini. Negli ultimi anni della sua vita svolse anche l’incarico di questuante. Si narra che “quando passava di paese in paese, ali di folla lo aspettavano sui margini delle strade per avere la sua benedizione o per vedere soltanto questo umile fraticello che, sempre col sorriso, si sforzava di salutare tutti”.

La vita di san Gerardo, come ho detto all’inizio, è costellata di miracoli. Ciò che stupisce è la semplicità con cui li compiva. Era convinto che tutti potessero fare la stessa cosa. Racconto alcuni prodigi che ci permettono di comprendere meglio il suo carattere e la sua grande fede.  Il vescovo di Lacedonia (AV), monsignor Claudio Albini, chiede a Gerardo, ragazzo di 15 anni, se vuole prestare servizio in episcopio. Il vescovo è notoriamente burbero e severo. Qualcuno lo sconsiglia, ma lui accetta. Trascorre tre anni in quell’ambiente tra sacrifici, rimproveri e umiliazioni. Un giorno va ad attingere acqua. Mentre maneggia la carrucola gli cadono le chiavi nel pozzo. La gente si preoccupa per lui. Gerardo invece resta tranquillo. Va in chiesa, prende una statuetta di Gesù bambino e la cala nel pozzo. Quando viene ritirata su, la sacra icona stringe in pugno le chiavi. Da allora quel pozzo si chiama  “Gerardiello”.

Ci troviamo a Napoli, in località Pietra del Pesce. In riva al mare, una folla, impotente e urlante, assiste ai tentativi di alcuni marinai che nella barca, tra le onde tempestose, cercano di salvarsi. Gerardo, appena vede la scena, si fa il segno della croce e comincia a camminare sul mare. Giunto presso gli spauriti marinai, afferra la barca con “due ditelle” (così racconterà ai confratelli) e la trascina a riva.

Si racconta che poco prima di morire fra Gerardo sostasse in una famiglia di Oliveto Citra, in provincia di Salerno. Nel ripartire fa finta di dimenticare un fazzoletto. Una ragazzina lo rincorre per restituirglielo. Ma Gerardo le dice: “No, no, tienilo pure; un giorno ti potrà servire”. Passati alcuni anni la ragazzina si sposa. Al momento in cui sta per dare alla luce il primo figlio, le cose si complicano al punto che si teme il peggio. Gerardo era già morto. La partoriente si ricorda del fazzoletto. Subito chiede che glielo portino. Avutolo tra le mani, lo stende sulla pancia. Immediatamente i dolori cessano e il parto avviene felicemente”. Da allora Gerardo Maiella è universalmente invocato come protettore delle donne incinte. Chi va a Materdomini può visitare la cosiddetta “stanza dei fiocchi”. Sono simpatici ex voto di mamme che nelle complicazioni del parto hanno ricevuto la grazia da san Gerardo.

Gerardo ha il dono dell’evangelizzazione. Durante una missione a Lacedonia, il suo superiore padre Carmine Fiocchi gli dice di recarsi a Melfi (PZ) perché il vescovo, monsignor Teodoro Basta, vuole conoscerlo. Prende il cavallo e parte. Lungo il cammino si ferma a salutare il dottor Antonino Di Domenico. Questi, saputo che vuole andare a Melfi, cerca di dissuaderlo a motivo del cattivo tempo. Il percorso oltretutto prevede l’attraversamento di due corsi d’acqua, l’Osento e l’Ofanto. Gerardo non sente ragioni. L’ubbidienza gli impone di partire. Fra tante difficoltà giunge a Melfi. Resta a conversare col vescovo poco tempo. Quindi saluta e riparte. Ha premura di rientrare in missione. Ma lungo il viaggio, al buio e col tempo cattivo, si trova nuovamente presso le sponde dell’Ofanto. Gerardo non sa quale direzione prendere. D’improvviso gli si para davanti un individuo minaccioso. È satana, il quale gli dice: “Ora ti faccio scontare tutto quello che mi fai”. Il servo di Dio senza scomporsi risponde: “Ah, sei tu?! Si fa un segno di croce e gli dice: “Dal momento che non so come uscire da questo bosco, ti ordino in nome della SS.ma Trinità di condurmi fuori di qui. E gli lancia le briglie del cavallo. Il demonio, digrignando i denti e minacciando vendetta, esegue l’ordine”. Gerardo giunge a destinazione un’ora prima di mezzanotte, tutto inzuppato di pioggia. Al confratello che gli chiede “come diavolo” abbia fatto con quel tempo a giungere fin lì, con estrema semplicità gli racconta l’accaduto.

Gerardo muore di tubercolosi nel convento di Materdomini di Caposele all’età di 29 anni, il 16 ottobre 1755, Si racconta che dopo il decesso, il religioso incaricato di suonare le campane a morto avvertì una forza misteriosa alle braccia che lo costrinsero a suonare a festa anziché a morto.

Comments are closed.