Il dibattito politico in Abruzzo finisce quasi sempre per riguardare il “nuovo nato già vecchio”. È una sorta di Benjamin Button statico: senza possibilità concreta di ringiovanimento. Fateci caso: si parla del ritorno in scena di personaggi usciti indenni da disavventure giudiziarie; di altri personaggi, di recente proscenio politico, ormai consumati dalle istituzioni e dai partiti; di outsider di incerta grammatica e di altrettanta precaria parola decorati da canizie, non sempre portatrice di saggezza. E ancora di giovani, nati burocrati di partito, senza aver mai frequentato quella mitica scuola alle pendici dei castelli romani, che possono decidere sulle sorti di importanti enti della regione; di taluno, di scarsa qualità politica ma ben diversamente dotato, che può permettersi di acquistare un posto al sole della politica regionale; di talaltro, ovviamente giovane, che già può vantare un consistente “controllo del territorio”. Avete notato che anche i giovani, completamente digiuni dei giochi della politica, eletti per esempio nel consiglio comunale di un piccolo paese dell’area interna della nostra regione, dopo qualche mese si comportano come vecchi politici logorati dall’esercizio virtuale (e non effettivo) del potere? Addirittura cambiano movenze: cercano di parlare con più musicalità, ma finiscono per cantilenare, gli angoli della loro bocca si espandono in segno di soddisfazione permanente, ma in realtà sembrano aggrediti da mefistofelica catalessi da jolly di carte da ramino, oggi va di moda il burraco.
Il vero dramma, però, non sta tanto nei cambiamenti esteriori, nel modo di parlare più o meno sconnesso; non sta nei segni esteriori del potere più o meno effettivo. Il problema vero risiede nella vacuità della conoscenza, nella incosciente leggerezza del comportamento, nel fraintendimento del bene comune e dell’interesse collettivo con quello privato e personale. In una parola: mancanza di spessore, non necessariamente politico. Spessore culturale, nell’accezione più ampia del termine, che quasi deterministicamente si eleva come uno scudo a proteggerti dalle tentazioni del potere; a preservarti dalle derive etiche; a farti mantenere ferma la barra della navigazione verso l’interesse generale ignorando le molteplici sirene della corruzione e dell’asservimento. Per fortuna, però, ci sono (non molti, ma ci sono) esempi di integrità culturale che ci lasciano ben sperare. Come un sindaco dell’aquilano che pur di mantenere fede al mandato elettorale, non ha esitato a denunciare pubblicamente i tentativi del vecchio ceto politico del paese di eterodirigere l’amministrazione comunale considerandolo alla stregua, nella migliore delle considerazioni, di un prestanome o, nella peggiore, di una testa di turco. A costo di essere messo in minoranza e di tornarsene a casa dopo solo due anni di amministrazione. Ha deciso che la dignità della persona, la forza delle idee e della cultura debbano trionfare su quello che si tenta di spacciare per nuovo, ma dal sapore stantio. È una donna.