IL MERCATO DELL’APPARIRE…
A muovere le fila di questo commercio sono soprattutto la camorra e la ‘ndrangheta come emerge dall’ultima relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della contraffazione. L’Italia, dopo gli Stati Uniti, a livello mondiale è al secondo posto
Se non avete il denaro sufficiente per compare una Lamborghini “Ursus” (200.00 euro) o una Porsche Macan (60.000), niente paura, per 20-25 mila euro potete soddisfare il vostro sogno, facendo versare litri di bile ai vostri amici e nemici. Tutto regolare: basta acquistarle dalle case automobilistiche cinesi che le producono uguali e le espongono addirittura ai loro saloni internazionali dell’auto. Beh, proprio uguali-uguali no, ma la forma è quella, e ciò che conta, alla fine, è l’apparenza. A colpo d’occhio, il suv “Ulisse” sembra gemello dell’Hansu C60 Hyosow; la Macan, della Zotye T700; la Land Rover, della Land Wind XT (!); la Lifan 300, della 500L. Addirittura, la Chamgan CS75 raddoppia: il muso è identico alla Range Rover, la parte posteriore alla BMW X5!
Quella delle auto è l’ultima frontiera – o la penultima, perché nel settore l’evoluzione è continua – delle contraffazioni o imitazioni. In questo caso è tutto regolare, ma negli altri, no. Chi di noi non ha in casa almeno una borsa Louis Vuitton, un capo di abbigliamento Gucci, un paio di scarpe Todds, un orologio Patek Philippe, un profumo Chanel o, addirittura, pezzi d’arredamento o sanitari falsi? Oggetti che costano pochissimo, ma che spesso appaiono originali e soltanto un occhio esperto riesce a coglierne la differenza. Apparire, apparire, apparire. Marco Aurelio sosteneva che “l’aspetto esteriore è un meraviglioso pervertitore della ragione”. Era uno che se ne intendeva, dato che, oltre a fare l’imperatore, era anche filosofo e scrittore. Il fatto è che la contraffazione è un reato ed è passibile di denuncia e sanzioni non solo chi vende merce contraffatta, ma anche chi l’acquista (con multe fino a 7.000 euro!). Il fenomeno interessa tutto il globo, ma l’Italia, dopo gli Stati Uniti, a livello mondiale è al secondo posto. A muovere le fila di questo commercio sono soprattutto la camorra e la ‘ndrangheta, come emerge dall’ultima relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della contraffazione, nella quale si evidenzia anche il crescente interesse delle organizzazioni terroristiche. Si tratta, infatti, di un comparto più remunerativo e meno rischioso penalmente di altri, come, ad esempio, il traffico di droga. I proventi vengono poi reinvestiti in attività lecite come la ristorazione, il turismo, l’edilizia.
Lo studio Trade in counterfeit and pirated goods, a cura dell’Ocse e dell’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’UE, stima che il 2,5% degli scambi mondiali sia costituito da beni contraffatti, per un valore corrispondente di oltre 350 miliardi di euro, una cifra pari al Pil dell’Austria o alla somma dei Pil di Irlanda e Repubblica Ceca (le importazioni di merce contraffatta in Europa riguardano il 5% del totale). Si tratta della prima voce mondiale all’interno dell’Illicit Trade, molto superiore al traffico di droga. Nel rapporto del Censis “La contraffazione: dimensioni, caratteristiche ed approfondimenti”, si stima che il fatturato della contraffazione in Italia ammonti a oltre 7 miliardi di euro. Il settore maggiormente esposto è quello dell’abbigliamento, con un valore della produzione di 2,2 miliardi di euro, pari al 32,5% del totale. Seguono il comparto degli audiovisivi (quasi 2 miliardi di euro, il 28,5% del totale), il materiale elettrico, prodotti informatici o alimentari, un 1 miliardo di euro ciascuno. In termini di sequestri effettuati dalla Guardia di finanza nel periodo 2012/2016, su un totale di oltre un miliardo di pezzi, i macro-settori beni di consumo (439 milioni di unità) e giocattoli (251 milioni di unità) coprono il 63% del totale, seguiti dagli articoli elettronici (22% con il sequestro di oltre 245 milioni di pezzi) e dal settore moda (15% con oltre 164 milioni di pezzi).
Un aspetto che pochi considerano è che non solo i prodotti alimentari, ma anche quelli normali rappresentano un pericolo per la salute, a causa dei materiali altamente tossici utilizzati. Quello che segue è un elenco incompleto di prodotto contraffatti pericolosi: pellet per uso domestico di provenienza est-europea, cuscinetti a sfera importati dalla Cina via internet, tappi in plastica e copri lattina con marchio di note bibite, capi di maglieria realizzati con pelo di coniglio spacciati per cachemire, cosmetici e profumi contenenti alte percentuali di toluene e benzene; caloriferi assemblati con fibre di amianto, rubinetti che rilasciano il piombo, giocattoli contenenti ftalati; gioielli con un’alta concentrazione di nichel, scarpe e pelletteria con anomale percentuali di cromo esavalente; sigarette con valori di catrame, piombo e arsenico centinaia di volte superiori alla norma. Tutti prodotti che non sono conformi ai parametri di produzione e commercializzazione previsti dalle direttive dell’Unione Europea. Secondo un nuovo rapporto dell’Ocse, in Italia il commercio mondiale di beni contraffatti (borse di lusso, orologi, prodotti alimentari, componenti auto) ha un impatto sull’economia che va dall’1 al 2 per cento del Pil in termini di mancate vendite, e un mancato impiego di 87 mila lavoratori. I prodotti falsi provengono da Cina (50%) e Hong Kong (29%), ma anche da Grecia (6%), Singapore (4%) e Turchia (2%). Il bello, o il brutto, è che spesso, attratti dal prezzo e dalla possibilità di poter disporre di oggetti altrimenti inarrivabili per le nostre finanze, non facciamo caso a tutto il resto, cioè alla qualità e all’originalità. Infatti, sempre l’Ocse, ritiene che la quota di prodotti falsi acquistati in Italia da consumatori coscienti va dal 15 per cento per i prodotti alimentari al 60% per orologi, dispositivi informatici e di comunicazione. Tutto il resto è convinto di acquistare “pulito”. D’altronde, “poniamo più attenzione nel far credere agli altri di essere felici che non cercare di esserlo veramente”. E non da oggi, ma almeno dalla metà del XVII secolo, quando lo sostenne La Rochefoucauld (questa è originale, non contraffatta…).