IL “MAMMO” NON FUNZIONA
“La difficoltà di oggi – sostiene Alessandro Volta, pediatra neonatologo – è creare un ruolo che sia accudente e indichi la strada. I papà di oggi, invece, pensano di non essere all’altezza e si eclissano, delegando tutto alla moglie o compagna, alla scuola, all’oratorio”
Sostiene lo psicanalista Massimo Recalcati: “Ciò che irrompe nelle nuove narrazioni non è il padre, ma la mancanza del padre”. Che la figura paterna sia in crisi e in trasformazione è un dato di fatto e lo testimonia non solo il dibattito tra intellettuali, da Recalcati a Luigi Zoja, per citare due autori di best sellers, ma anche diversi casi di cronaca. “La funzione del padre in psicoanalisi – ha affermato Recalcati – è quella di testimoniare che la vita umana è attraversata dal limite mentre per il discorso del capitalista tutto è possibile: acquistare, consumare, evitare la morte. In Italia lo sappiamo bene: il ventennio che ci siamo lasciati alle spalle ha visto la degenerazione dell’idea di paternità. Uomini afflitti dalla sindrome di Peter Pan, eterni ragazzi che diventano compagni di gioco dei figli, padri ridotti a pupazzi”.
Peraltro, le statistiche evidenziano come nel nostro paese si diventa padri sempre più tardi. L’Italia in Unione Europea è in cima alla classifica dell’età media del concepimento più alta. A partire dagli anni ottanta l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 ai 35 anni. Con estremi però che arrivano a superare i 40 anni. La definizione “padri-nonni”, spiegano gli esperti, non indica adulti sessantenni, ma sopra i 45 anni: perché fare un figlio a 40-45 anni vuol dire averne 65 quando il figlio è maggiorenne. Ancora la parola a Recalcati: “Quello che resta del padre nel tempo della sua evaporazione non è il padre-padrone e nemmeno il padre-perverso, ma il padre- testimone. I figli hanno bisogno di testimoni che dicano loro non qual è il senso dell’esistenza, bensì che mostrino attraverso la loro vita che l’esistenza può avere un senso. Un esempio è papa Francesco: a differenza dei suoi predecessori non rappresenta il padre glorioso simbolo di Dio in terra o l’infallibilità della dottrina, ma è un padre che non teme la sua povertà”.
Senza modelli e con un ruolo tutto nuovo da interpretare
Alessandro Volta è pediatra neonatologo, padre, nonno. A Reggio Emilia tiene incontri di accompagnamento alla nascita per genitori e corsi di formazione per il personale sanitario sulla genitorialità e il sostegno all’allattamento al seno. Ha scritto diversi libri (Nascere genitori, Mi è nato un papà, Crescere un figlio, solo per citarne alcuni) e cura due blog su internet: vocidibimbi.it e nasceregenitori.net. Tra poco sarà di nuovo in libreria con il libro L’allattamento spiegato ai papà (Il Leone Verde).
Dal suo osservatorio privilegiato, Volta conferma quello che è l’analisi di molti suoi colleghi: “La crisi del padre esiste, ha diverse sfaccettature e comincia subito dopo la nascita del figlio, quando il bimbo ha bisogno di essere accudito e aiutato nelle sue funzioni vitali – sottolinea – di solito i problemi irrisolti nel periodo neonatale si trascinano fino al periodo dell’adolescenza quando le coppie non reggono più e scoppiano”.
Che tipo di crisi è, dunque, quella attuale? “Ai padri – risponde – oggi viene chiesto un ruolo nuovo e del tutto inedito rispetto al passato quando il padre era sostanzialmente assente e interveniva quando richiesto per porre regole o punire il figlio che le trasgrediva. Del padre autoritario, del padre-padrone nessuno sente più nostalgia e anche papa Francesco in Amoris laetitia sottolinea che questa idea di padre va abbandonata. Qui, però, sorge il problema: se il passato non può insegnare molto, a chi devono ispirarsi i padri di oggi per fare i padri?”.
Secondo lo psicanalista francese Jacques Lacan, al quale si rifà ampiamente Recalcati, “l’evaporazione del padre” risale al sessantotto e significa la scomparsa della legge, il tramonto dell’autorità, la demolizione dell’autorità simbolica paterna nella vita della famiglia e in quella della società. “La difficoltà di oggi – commenta Volta – è creare un ruolo di padre che sia accudente e indichi la strada. I padri di oggi, invece, pensano di non essere all’altezza e si eclissano, delegando tutto alla moglie o compagna, alla scuola, all’oratorio. Questo venir meno del padre, affetto dalla sindrome di Peter Pan e da giovanilismo, manda in crisi la coppia che arriva talvolta a separarsi. Un padre che ha la tendenza a non assumersi responsabilità rompe l’equilibrio di coppia fino ad arrivare a separazioni precoci”.
Il primo compito di un padre è quello di accudire il figlio nei primi mesi di vita. “Per secoli – ragiona Volta – sono state le donne a svolgere la funzione di cura: suore, infermiere, madri. Anche per ragioni ormonali le donne sono predisposte a questo compito. Se un uomo oggi diventa accudente deve ispirarsi necessariamente a un modello femminile e si sente sminuito nella sua virilità. Ma non è così. Un padre svolgerà questo compito a modo suo, in maniera maschile. Il ‘mammo’ non esiste e non a caso viene utilizzato secondo un’accezione quasi dispregiativa”.
Quello che Volta chiama “paternage” richiede però un contatto fisico con il bambino: “Deve prenderlo in braccio quando piange, addormentarlo, giocare con lui. E il padre deve avere un feedback immediato di questo suo atteggiamento virtuoso: se, ad esempio, il bimbo si calma dopo il suo intervento, lui è soddisfatto, si sente competenti. Questo ruolo di accudimento fa calare il testosterone, l’ormone che serve per l’aggressività, la competizione e la lotta, del 30-40 per cento. È un’esperienza fisica, esistenziale. Attenzione, questo comportamento non è, come si pensa comunemente, qualcosa di genetico o innato. Questo accade anche agli animali. Ci sono studi sui gorilla che in condizioni di normalità sono aggressivi perché devono difendere dai predatori le loro compagne e i cuccioli. Quando sono in una situazione di cattività, protetta, ecco che giocano tantissimo con i propri cuccioli e cambiano atteggiamento. Il comportamento dipende dal contesto. Se serve i gorilla sono aggressivi, altrimenti depongono la loro aggressività”.
Il congedo di paternità, una legge a metà del guado
Le regole sul congedo di paternità sono cambiate da pochissimo: a chi diventa papà nel 2018 spettano quattro giorni di congedo obbligatorio e uno di congedo facoltativo come ha stabilito il parlamento nell’ultima legge di Bilancio. La misura è stata introdotta per incentivare i padri a usare i giorni concessi con la legge 92/2012 (che ne prevedeva uno obbligatorio e uno facoltativo) e che, finora, secondo le statistiche sono stati usati solo da due papà su dieci. Inoltre, si tratta di un tentativo di avvicinare il nostro Paese agli standard degli altri paesi dell’Europa, soprattutto quelli scandinavi, rispetto ai quali l’Italia rimane ancora uno dei peggiori. Conferma Volta: “La legge italiana è insufficiente, il congedo deve essere più lungo, condiviso tra i due genitori e a stipendio semicompleto come accade in Svezia o Danimarca altrimenti il bilancio familiare va gambe all’aria. Il congedo serve anche per “investire” sui figli, conoscerli meglio e in un certo senso prepara il terreno per l’età adolescenziale”.
L’adolescenza è l’altro periodo cruciale per i genitori, chiamati ad educare e soprattutto a governare l’inevitabile conflitto con i figli, conflitto che è indispensabile per la crescita e la maturazione dei figli stessi. “Lo scontro è fisiologico e guai se non ci fosse – spiega l’esperto – il problema è che in questa fase così delicata i padri avvertono molto la difficoltà del compito e sono dilaniati da un dilemma: essere affettivi, quindi accudenti, amici, per nulla conflittuali. Oppure normativi, mettere paletti, regole e così facendo arrivare allo scontro”. Come se ne esce? “Si può, anzi si deve essere affettivi e normativi insieme. Posso mettere le regole ma con un atteggiamento affettuoso e dialogante. Un esempio? Non basta che dica a mio figlio di rientrare a casa per le 20, della serie: io metto le regole e tu mi obbedisci perché io sono il padre e tu il figlio. Devo spiegargli che se voglio che rientri a casa alle 20 è perché mi piace stare a cena con lui, parlare di quello che ha fatto. Oggi questo non sempre succede nelle famiglie e i ragazzi finiscono per avere un rapporto privilegiato con la madre e quasi da estranei con il padre”.
Ecco, dunque, che la sinergia tra madri e padri è fondamentale. “Deve esserci un’alleanza molto stretta, la coppia deve essere simmetrica nell’educazione dei figli – spiega Volta – la mia esperienza mi indica chiaramente che più che aiutare i padri bisogna sostenere le coppie. E questo non lo fa quasi nessuno con l’energia e la dedizione che questo accompagnamento richiede. Io tengo diversi corsi per le coppie che ad esempio dopo il parto vanno aiutate a restare coppia, a cominciare anche dalla sessualità e affettività che sono la benzina per il motore della relazione. Se le coppie stanno bene insieme e in equilibrio rispetto al compito gravoso dell’educare, i figli cresceranno bene”.
Per il suo blog, Volta ha scelto un nome particolare: Voci di bimbi. Il motivo? “Perché -spiega – è importante dare la parola a loro, il bambino ha un sacco di cose da dire, abbiamo bisogno solo di ascoltarlo. L’infante, etimologicamente, è colui che non ha parola. Invece, nel loro linguaggio, i bimbi ci parlano e noi abbiamo il compito di osservarli e vedere di cosa hanno bisogno. I padri vanno coinvolti in questo percorso ma devono conservare la loro specificità maschile”.