di Paul Murray, Traduzione di Tommaso Pincio,
ed. Einaudi, pp. 664, euro 22
Il romanzo familiare di Paul Murray è arrivato in Italia col fardello di una critica anglosassone che lo ha incoronato “libro dell’anno”. E in effetti in questa mini-saga irlandese qualcosa di magnetico c’è: una scrittura fedele a un realismo implacabile e un equilibrio davvero raro. L’impianto è quello del romanzo corale; ogni membro della famiglia Barnes racconta un pezzo della storia, ciascuno con una propria lingua.
Dickie è in rovina con la concessionaria e costruisce un bunker a prova di apocalisse sotto lo sguardo furioso di Imelda, che per restare a galla vende i suoi averi online. Il piccolo PJ aiuta il papà nei lavori, mentre progetta di scappare di casa; sua sorella maggiore, Cass, si è stufata di essere brillante proprio alle soglie del college. Mentre i quattro fili si intrecciano verso un finale magistrale, il racconto salta spesso al passato, a tutto ciò che c’era prima del fatidico “giorno dell’ape”.
La sensazione è quella di trovarsi davanti a una porta aperta sulla vita quotidiana: ciò che si vede dall’altra parte è una realtà in cui la sfortuna non smette mai di bussare, tanto da diventare condizione esistenziale. Abbonda l’ironia, ma è sempre tragica. Che sia davvero il romanzo dell’anno è difficile dirlo; di certo è uno dei più belli.
