IL FUTURO DELLA DEUTSCHE BANK PREOCCUPA IL GOVERNO

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 3 Dicembre 2016

SI PARLA DI CHIUSURA DI SPORTELLI, IN PATRIA E ALL’ESTERO, SPECIALMENTE IN AMERICA LATINA, DI RICORSO A CAPITALIZZAZIONI, DI RICERCA DI NUOVI FINANZIATORI. PER IL MOMENTO È SICURO CHE NON CI SARANNO INTERVENTI PUBBLICI, ESCLUSI DA RESPONSABILI A TUTTI I LIVELLI A lungo la Deutsche Bank, la più grande banca privata tedesca, è stata un fiore all’occhiello per la Germania. Con un totale di attivi per 1800 miliardi di dollari, con 215 miliardi di liquidità, presente in sessanta paesi, vale oltre la metà dell’economia nazionale e il 10 per cento del suo prodotto interno lordo. Ma ora, per il governo di Berlino, è diventata un problema, in misura anche maggiore rispetto alle vicende che coinvolgono la VolksWagen.

DB è infatti sotto processo negli Stati Uniti, accusata di vendite fraudolente di obbligazioni garantite da mutui immobiliari “tossici”, cioè difficilmente esigibili. Le operazioni relative, pur conoscendone i limiti di rischio, sono state condotte prima dello scoppio della crisi finanziaria mondiale del 2008 che ha messo in tensione le economie internazionali. E ora Washington chiede un risarcimento di 14 miliardi di dollari, un duro colpo per il colosso bancario.

Un’ipotesi di fallimento o di crisi sistemica, in ogni caso, non conviene a nessuno, e così oggi si parla di un compromesso sui 5-6 miliardi di dollari che la DB assorbirebbe con maggiore facilità. Senza dimenticare che la banca ha già pagato circa 13 miliardi per chiudere altre numerose vertenze, mentre ne restano in piedi alcune migliaia, e fra esse una particolarmente delicata in Russia, con l’accusa di riciclaggio. C’è anche il contenzioso aperto dalla procura di Trani contro DB, con la richiesta di una rogatoria internazionale, non avendo ricevuto la necessaria documentazione da Francoforte, per “condotte artificiose a carattere informativo e operativo, da ritenere manipolative del mercato”, attraverso speculazioni condotte nel 2012 a danno dell’Italia con la vendita di 7 miliardi di titoli del debito pubblico italiano.

Si capiscono, quindi, le preoccupazioni del governo federale: anche se “troppo grande per fallire” (prima della crisi, nel 2007, era annoverata fra le prime banche del mondo), resta comunque il fatto che, secondo uno dei responsabili del Fondo monetario internazionale, l’istituto tedesco è attualmente “la principale fonte di rischio a livello mondiale” per il sistema economico-finanziario. Una affermazione che ha fatto andare su tutte le furie il ministro dell’Economia Wolfgang Schaeuble, forse perché non gli va giù che sia messo sotto processo un gioiello di famiglia, mentre a Berlino si è abituati a giudicare con una certa spocchia (specialmente da parte della Bundesbank, la Banca centrale) le altrui situazioni.

C’è anche il tentativo di inserire la vicenda in un contesto internazionale, alimentando il sospetto che si voglia eliminare dal mercato americano l’unica realtà rappresentativa del vecchio continente sul piano finanziario; o per ritorsione sia per le multe salate che l’Unione Europea ha applicato a due giganti statunitensi come Apple e Google, sia per le difficoltà che da questa sponda dell’Atlantico si vanno frapponendo alla conclusione di trattati internazionali sul commercio. Sono comunque ipotesi da verificare, se non altro perché negli Usa sono state inflitte pesanti ammende a banche, americane queste, per le stesse ragioni imputate all’istituto tedesco: Bank of America 16,6 miliardi, Goldman Sachs 5 miliardi, e addirittura 23 al consorzio Citigroup-JP Morgan Chase-Morgan Stanley.

La crisi di DB è peraltro indubbia. Si parla di chiusura di sportelli, in patria e all’estero, specialmente in America latina, di ricorso a capitalizzazioni, di ricerca di nuovi finanziatori. Per il momento è sicuro che non ci saranno interventi pubblici, esclusi da responsabili a tutti i livelli. Fra l’altro, l’opinione pubblica non capirebbe: da un recente sondaggio si è appreso che il 68 per cento dei tedeschi è contrario all’aiuto di stato. Più plausibile l’ipotesi di una cordata di grandi industrie nazionali disposte a sostenere un istituto che, presente come abbiamo detto in 60 paesi, oltre a finanziare l’export nazionale è coinvolto in grandi fusioni aziendali negli Stati Uniti e favorisce gli sviluppi immobiliari in Asia.

Meglio così, perché non sono più possibili al governo, nel quadro europeo, operazioni di salvataggio come quelle compiute in passato con l’iniezione nel sistema creditizio di 250 miliardi di euro. è già in atto comunque un faticoso recupero di credibilità (nell’ultimo trimestre la DB ha realizzato, quasi a sorpresa, profitti per diversi miliardi), sebbene il titolo, valutato 100 in passato, lo sia oggi a 10, con una perdita del 78 per cento e con una decina di fondi di investimento (sui duecento) passati ad altri. Le preoccupazioni di Berlino non si limitano alla Deutsche Bank. Anche il secondo istituto creditizio del paese, la Commerzbank, si trova in difficoltà: nel 2016 non darà dividendi e si apre la prospettiva di un taglio di 9000 posti di lavoro.

L’intera vicenda è un campanello d’allarme per l’Europa, che soffre delle sue rivalità e delle sue divisioni, come ha costatato con la consueta saggezza Romano Prodi, il quale sembra suggerire che ci sia qualcosa che non va in un sistema in cui ciascuno fa il proprio gioco. Ma “la casa europea – dice alla cancelliera tedesca, Angela Merkel – si regge solo se tutti i pilastri si sostengono a vicenda. Come si conviene per ogni edificio ben costruito”. E quello bancario ne costituisce una pietra d’angolo.

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