IL DIRITTO ALL’INFORMAZIONE

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 7 Luglio 2021

Viviamo un’epoca in cui l’informazione, la circolazione delle idee, soprattutto per il crescente e inarrestabile uso dei social, è diventata uno dei bisogni fondamentali per le attività umane. Non solo per le attività, per così dire, produttive, ma anche per quelle culturali, intese come crescita e sviluppo delle capacità conoscitive e cognitive. Provate a immaginare, in questo momento, un mondo senza quel complesso di strumenti che rendono possibile entrare in contatto con parenti e amici in tempo reale, anche a migliaia di chilometri di distanza fisica. Sarebbe come sentirsi privi di quelle estensioni del corpo che ci consentono le attività di tutti i giorni. Menomati, ecco come ci sentiremmo. Cosa sarebbe stato il periodo della pandemia senza questi strumenti che ci hanno consentito di lavorare a distanza e di vedere, sentire e parlare con i propri cari in quarantena anche a poche centinaia di metri da casa?

Insomma, l’informazione, e più in generale la comunicazione è entrata con prepotenza nel nostro agire quotidiano. E lo ha fatto senza che ci accorgessimo della profonda trasformazione antropologica, di vita e di costume che ha portato con sé la rivoluzione digitale. Eppure, sembra quasi paradossale, c’è il settore portante di questo complesso mondo del “villaggio globale”, che è fortemente in crisi e rischia, soprattutto in Italia, in tracollo: l’informazione, quella della carta stampata, quella televisiva e finanche quella on line. Mai come nell’attuale congiuntura su questo settore si è abbattuta una serie di problemi che lo stanno rendendo dequalificato. Oltre il 70 per cento dei lavoratori dell’informazione vive condizioni di assoluto precariato; è sempre più complicato distinguere i contenuti informativi dalla pubblicità; i contenuti di approfondimento sono diventati un prodotto di nicchia, una riserva gestita da alcuni mezzi di informazione che con grandi sacrifici cercano di difenderla dagli attacchi della semplificazione e della superficialità a tutti i costi. La nostra, invece, è un epoca che avrebbe bisogno di qualità dell’informazione come una “linea del Piave” oltre la quale la disinformazione, la mistificazione e le false notizie non dovrebbero passare. Purtroppo, non è così. E ancora purtroppo, tutto questo accade sotto gli occhi di un potere pubblico che non sembra rendersi conto che l’ondata di piena potrebbe travolgere se stesso.

In Abruzzo la situazione non è meno grave. Anzi. È vero che si tratta di una regione povera di giornali, ma è ricca di mezzi di informazione: numerose televisioni, tantissimi siti di informazione on line, blog gestiti da giornalisti con grande professionalità, una moltitudine di radio e di periodici. E se i giornali se la passano non troppo bene, gli altri non stanno meglio. La caduta della raccolta pubblicitaria, dovuta alla pandemia, ha aggravato la situazione. Domanda: cosa si aspetta a varare una legge regionale a sostegno di questo settore, come hanno fatto da anni e non da ieri, tante altre regioni?

Un sostegno, sotto qualsiasi forma, ai mezzi di informazione che con sforzi inenarrabili hanno tenuto la barra ferma nel ribadire la qualità dell’informazione, il non sfruttamento dei lavoratori anche a costo di pesanti indebitamenti. Non si tratta di premiare nessuno e meno che meno editori che hanno pensato di aggirare gli obblighi verso i dipendenti utilizzando lavoro nero, gratuito e sottopagato. No, si tratta, invece, di assecondare lo sforzo che i giornalisti stanno sostenendo per difendere il diritto a un’informazione consapevole, per tenere fede a quel patto con i cittadini nell’assoluta convinzione che senza questo tipo di informazione non c’è la crescita del Paese e dell’Abruzzo.

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