IL CEFFONE DI PAPA RATZINGER

Con questo atto Benedetto XVI, al di là delle procedure burocratiche e giuridiche che portano al conclave e alla novità sostanziale dell’istituto delle dimissioni anche per un papa, ha tirato un colpo forte al volto del potere temporale della chiesa. E pone nuovi orizzonti teologici dai risvolti imprevisti

Le dimissioni di Benedetto XVI dal suo magistero pontificio aprono poche ma certe strade di riflessione. Che il papa non stia bene, e che il peso degli anni e degli acciacchi fisici lo stiano indebolendo nel fisico, è un fatto accertato, e non da oggi. Le ultime sue apparizioni hanno destato più di qualche sospetto, e la sua “debolezza” ha varcato attraverso le immagini tv le nostre case. Ma dietro questa decisione storica (dobbiamo risalire al papa del “gran rifiuto”, Celestino V, per ricordare un caso di dimissione vera) c’è dell’altro. Benedetto XVI, che ora torna semplicemente a essere il sacerdote Joseph Ratzinger, è stanco del clima abbastanza “difficile” che c’è in curia, e non da oggi, e non vuole avere più a che fare con un governo della chiesa universale che, ovviamente, risente di ciò. Gli ultimi anni del suo pontificato sono stati costellati all’interno della curia vaticana da ripetuti scandali, vedi la pedofilia, da appetiti carrieristici e lotte di potere, vedi vatileaks, da posizioni poco chiare in ambito finanziario con lo Ior, la banca vaticana (da mesi il suo ex presidente Ettore Gotti Tedeschi non è ancora stato sostituito) e da guerre intestine e fratricide che hanno offuscato l’immagine della chiesa sposa del Cristo.
Con questo atto Benedetto XVI, alias Joseph Ratzinger, al di là delle procedure burocratiche e giuridiche che portano al conclave e alla novità sostanziale dell’istituto delle dimissioni anche per un papa, ha tirato un ceffone forte al volto del potere temporale della chiesa. E pone nuovi orizzonti teologici dai risvolti imprevisti.
Una portata rivoluzionaria, per non dire profetica, così strana per un papa conservatore come Benedetto XVI, che ridimensiona il tanto decantato pontificato di Giovanni Paolo II e si pone alla stessa sequela di un nuovo Concilio.
Il messaggio è chiaro: è possibile salvarsi da soli, nel pieno della coscienza. E qualche volta senza l’aiuto della chiesa. Prima la fede nell’uomo, poi il servizio e il ministero. Un atto profetico e rivoluzionario, questo, che fa impallidire secoli di teologia e travolge chi ha voluto sottomettere l’annuncio del Vangelo alle logiche mondane di un potere temporale che ha voluto e saputo dare il meglio di sé solo come potere autonomo e trionfante che detta, impone, comanda, suggerisce.
Ratzinger va oltre. Con le dimissioni ci restituisce il primato della coscienza rispetto alla legge e alle regole. L’amore del Vangelo torna protagonista sulla strada della chiesa, rispetto a una fede che si è costruita nei secoli anche attorno alle mura di pietra  di piazza San Pietro.
Il papa è l’incarnazione stessa del potere temporale della chiesa. E il potere temporale della chiesa oggi prende un duro colpo. Lo conosciamo, reagirà. Anche se viene ferito nelle sue regole più ferree. La speranza è che questa ventata di libertà della coscienza che un anziano professore di teologia regala alla chiesa tutta sia l’esempio profetico che il popolo di Dio aspettava.
Chissà che il vento dello Spirito non si sia messo di nuovo a soffiare su piazza San Pietro. Inutile dire quanto il prossimo conclave sia ora importante. La decisione non è tanto se il prossimo papa sarà di transizione oppure no, nero o bianco, europeo o latino-americano, ma se eserciterà il primato di Pietro forte delle leggi e delle consuetudini temporali o invece accompagnerà la chiesa universale in una nuova era di annuncio del Vangelo.
Il toto-papa rimbalza ogni giorno sulle pagine dei giornali. In pole-position ci sono l’italiano Angelo Scola, arcivescovo di Milano, molto vicino alla teologia di Ratzinger, e poi l’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, teologo raffinato e pastore ascoltato, e poi ancora il salesiano Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, capitale dell’Honduras, il brasiliano Pedro Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile, per poi finire all’italo-argentino Leonardo Sandri, capo della congregazione delle chiese orientali. C’è chi dice che sia arrivato il momento dell’Africa, il continente emergente della fede cattolica: i cardinali Francis Arinze, Nigeria, e Peter Kodwo Appiah Turkson, Ghana, attendono che questa attenzione si tramuti in gesti concreti. Sul versante “progressista”, invece, ci sono tre nomi di grande spessore e stimatissimi dai fedeli di tutto il mondo: l’italiano Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della Cultura, ideatore di quel “cortile dei gentili”, iniziativa che sta riscuotendo successo anche al di fuori dei circuiti cattolici, Jean Luis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso e il giovanissimo, appena 56 anni, arcivescovo di Manila, il filippino Luis Antonio Tagle, vero astro nascente del continente orientale.
Nomi. Appena più che nomi offerti al tritacarne dei media. In realtà la posta in gioco è molto più alta. Joseph Ratzinger ha azzerato i giochi. Ha detto alla chiesa: coraggio, non avere paura del futuro.
Annunciando al mondo intero che quell’habemus papam serve l’uomo, e la sua umanità.